Gli artisti che espongono da Franco Noero sono investiti dal peso di doversi confrontare con un luogo talmente singolare per storia e caratteristiche da finire col volerne emulare la grandezza.
Pablo Bronstein (Buenos Aires, 1977; vive a Londra), decide di cercare nello studio dei decori e delle facciate barocche di alcuni prestigiosi palazzi torinesi l’anello di contatto con la Mole elevata da
Antonelli.
Il piano terra della galleria è interamente occupato da una tela di oltre cinque metri, che rappresenta la facciata di Palazzo Madama. Il dipinto a olio nasce da un rilievo molto preciso dell’edificio dell’architetto messinese
Juvarra. Si osserva l’ingombro dell’opera e ci si chiede come sia stata incastrata nell’esiguo spazio dell’edificio. Vedendola dall’esterno, si pensa a un prestito della Galleria Sabauda, tali sono la classicità e il realismo dei dettagli, che sfumano solo nella semplificazione degli elementi della piazza.
I sei mesi di lavoro di Bronstein hanno fornito un fondale teatrale atipico per la realizzazione di un video proiettato al secondo piano, una strana sensazione di vacuità si stempera nei graziosi movimenti di alcuni prestanti ballerini che imitano la gestualità della corte del Settecento in calzamaglia e bicipiti esposti, di fronte alle vetrate e alle colonnine delle balaustre di Palazzo Madama.
La sovraimpressione di immagini stupisce l’osservatore che, ironicamente,
cerca di ritrovarsi in questa esperienza voyeuristica, come se fosse un semplice passante davanti a un monumento in una qualsiasi piazza del mondo.
Al piano superiore, invece, si apprezza la perizia nel disegno di una prospettiva assonometrica vista dall’alto della sinuosa e ondeggiante facciata di Palazzo Carignano, chiusa però in un cortile rettangolare di un grande e virtuale edificio moderno a cui è stato imposto un fronte con ordini di colonne e lesene nella migliore tradizione neoclassica. Insomma, si continua nella ricerca di una metafisica incorporata al barocco che a tratti riesce a sorprendere.
Si prosegue, salendo le esili scalette che hanno resistito a terremoti e bombardamenti per scoprire altri disegni a china di studi di piatti in porcellana con greche e centrali riproduzioni di Palazzo Reale, motivi floreali e una mini cupola del
Guarini tra essi.
L’esposizione termina al piano attico, osservando dall’alto gli archi di Piazza Vittorio, mentre all’interno si presenta un’installazione composta da due piedistalli ridotti alle linee essenziali, che accentuano il candore e la classicità dell’ambiente, interrotti solo dalla presenza di un orologio in stile Luigi Filippo alla sommità di uno di essi, a rinnovare il riferimento a quel barocco che emerge come un gioiello nell’assoluta austerità dello schema militare della città.
Installazione che ricorda l’allestimento sintetico ed essenziale del project space di Piazza Santa Giulia, dove quattro orologi antichi su alte colonnine ripropongono una metafisica piazza in cui il tempo domina inesorabile.
Tornando alla “fetta di polenta”, alla parete due disegni ripropongono lo schema della torre dell’orologio: uno è assolutamente razionalista e privo di decori, l’altro si erge a simbolo di una estrema sintesi di quel che l’artista ha colto osservando la città, riportando ai vari livelli i tratti distintivi di note sculture appartenenti ad altri palazzi.