La mostra in corso ad Asti è innanzitutto l’occasione per
scoprire una personalitĂ di rilievo della scultura secentesca in Piemonte:
Michele
Enaten,
rappresentante di una famiglia di artisti originari di Liegi, emigrata in
regione alla fine del Cinquecento.
Il crogiuolo di cultura tardo-manierista in cui dovette
formarsi è evocato da due
Madonne di fattura tedesca, fra cui quella di Agliano, assegnabile
all’ambito di
Stefano Vil, maestro operoso nell’alessandrino (come il padre di
Michele,
Lamberto),
che mescola l’eleganza della posa materna al realismo del corpo del Bambino. Michele,
già testimoniato ad Asti nel 1621, vi impianta una bottega che, con l’aiuto di
collaboratori, fra cui il figlio
Bartolomeo, riscuote ampio successo in cittĂ
e nel suo circondario, superandone i confini.
Gli Enaten diffondono uno stile gradevole,
nell’impostazione solenne ed equilibrata delle figure, dai volti intensamente
espressivi.
All’atelier di Michele si deve anche la statua dorata di
San
Secondo,
legionario-moschettiere che tiene in mano il modellino della cittĂ turrita, di
cui è patrono.
L’avvento del Barocco è ricordato dalla splendida
Madonna
del Rosario di
Cerro Tanaro, vicina alla produzione dei comaschi
Cassina (attivi a Casale Monferrato) e da
alcune opere del chierese
Francesco Borello, enfatiche e realistiche insieme.
Gloriosa è infine la stagione settecentesca, che si apre
col confronto tra gli scultori di provenienza ticinese, la famiglia dei
Bonzanigo
(trasferitasi ad
Asti) e
Carlo Giuseppe Plura. Dei primi è da ricordare specie la panneggiatissima
Educazione
della Vergine di
Giovanni
Battista, nella
chiesa di San Secondo, invenzione di cui il maestro si compiace, proponendola
in numerose varianti. Del secondo colpisce invece la
PietĂ di Pralormo, con la Vergine che si
avventa disperata sul corpo esanime del figlio. L’energica vitalità rococò
possiede anche il
San Bartolomeo di
Ignazio Perucca, impressionante per l’interpretazione plastica del
suo tradizionale attributo (la pelle del corpo scuoiato).
Nella serie di dorate
Madonne che chiudono l’esposizione
risalta il raffinatissimo
Stefano Maria Clemente, che contribuì forse
all’ideazione, se non all’esecuzione, della
Vergine del Rosario di Cocconato, alla quale lo
scultore
Giuseppe Pellengo rivolse una commovente supplica, affidata a un biglietto
rinvenuto all’interno dell’opera: “
Vogliate farmi partecipe di tutte le
preghiere che si faranno avanti questa vostra Sacra Immagine”.
Episodio emblematico del connubio tra arte e fede da cui
scaturisce la scultura lignea, teatrale – come suggerisce il titolo della
mostra – sia per la sua impostazione, specie nei gruppi a più figure, sia per
la sua naturale ambientazione nel contesto delle processioni e dei riti
religiosi popolari.