Totò nudo e la Fusione della campana sembrerebbe proprio il titolo di un vecchio film interpretato dall’indimenticabile principe de Curtis, invece si tratta semplicemente dell’unione dei nomi di due recenti lavori di Diego Perrone (Asti, 1970) in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
E proprio partendo da quest’accostamento, si può intuire la propensione che il giovane artista ha nel creare atmosfere fantastiche e suggestive, per poi raccontarle attraverso alcune immagini rubate da environment di più grande portata. Lo spazio ovattato e lattiginoso permette una totale focalizzazione sulle due proiezioni video di grandi dimensioni che si stagliano l’una di fianco all’altra.
Nella prima –già vista alla scorsa Biennale di Venezia- un’animazione digitale in 3D, ci racconta, con meticolosa dovizia di particolari, gli ultimi istanti di vita di un cane moribondo. Notevole è la padronanza del mezzo impiegato per la realizzazione così fedele del soggetto, tanto da far dubitare che l’artista, come egli stesso afferma, non abbia mai osservato nulla di simile dal vivo. Il pathos che trasuda dal lavoro è spiegato da Perrone come condizione inevitabile, ma naturale, da osservare con rispettoso silenzio e discrezione.
Il Totò ricostruito digitalmente, invece, è stato scelto come soggetto dell’altra animazione in quanto icona popolare riconoscibile da chiunque e quindi dal sicuro effetto drammatico.
Si spoglia con cura e con freddo distacco, immerso nel buio di un bosco e lascia trapelare le forme appesantite dal tempo, che passa per tutti, anche per un divo, che in quest’inedita interpretazione di se stesso intenerisce e commuove come un qualsiasi vecchietto che da solo si destreggia tra panciotto, camicia, calzoni e canotta.
Fragile e invecchiato, il “clone” del Principe de Curtis ricorda quell’ultimo Totò pasoliniano di Uccellacci e Uccellini, che, a fine carriera, sosteneva amaramente di essere solo un attore, ovvero un venditore di chiacchiere.
La scultura intitolata La fusione della campana testimonia le fasi tecniche di costruzione di una campana in un unico momento espositivo. Perrone, dando forma all’intero procedimento creativo, ottiene un misterioso oggetto irregolare e asimmetrico. La campana, che normalmente evocherebbe paesaggi rurali e costumi di una volta, diventa in questa sede opera aperta.
Accanto ai lavori più recenti sono esposti gli scatti che immortalano anziani signori in abiti domestici ed informali mentre reggono le corna di animali: il rimando va ad un immaginario tradizionale, ad un patrimonio antropologico comune.
Infine, la nota serie di fotografie di grandi dimensioni I pensatori di buchi occupa uno spazio tutto proprio, come nei migliori racconti. I riferimenti letterari e cinematografici vengono spontanei e vanno dai libri di Jules Verne ale celeberrimo 2001 di Stanley Kubrick.
La simbiosi tra le persone in posa plastica e inverosimile con i “loro buchi”, spiazza anche lo spettatore più erudito, forse perché pensare al vuoto come ad un concetto concreto è ancora un grande sforzo. Un po’ come fu ai tempi di John Cage, per gli uditori che non riconoscevano nel silenzio il concetto di musica.
monica trigona
mostra visitata il 3 febbraio 2005
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