Il sogno che si trasforma in visione angosciosa, la fantasia che prende corpo dando vita a forme strane, inquietanti. Ryan Johnson (Karachi, 1978) utilizza la scultura per proiettarvi le inquietudini dell’uomo contemporaneo, per sottolineare come l’esistenza sia caratterizzata dall’ambiguità e sconfini nel paradosso. Servendosi di materiali di uso quotidiano, come argilla, resine e legno, realizza assemblaggi di oggetti che richiamano l’idea di reificazione e rendono improbabile una riconoscibilità univoca. Ambien eyes, ad esempio, è una scultura fatta di occhi che paiono scrutare lo spettatore in modo inquisitorio. Sono realizzati con oggetti di uso comune: bulloni, tazze, batuffoli di cotone, successivamente fotografati e inseriti entro calchi di argilla sintetica, colorata di bianco. Il risultato è spiazzante fin dal titolo: Ambien, infatti, è un farmaco contro l’insonnia, che induce comportamenti di tipo ipnotico, distorcendo la visione del reale.
Bust (Woman) e Bust (Man) sono busti che paiono emergere da un passato senza nome: nel tempo la loro funzione si è trasformata da quella di scultura a quella di bersaglio, segnato da fori di proiettile. Anche Nocturne provoca sconcerto nello spettatore: immagini fotografiche di dettagli anatomici“congelati” in involucri di argilla nera.
Percettivamente forte è anche il progetto realizzato da Sam Lewitt (Los Angeles, 1981). 1010 in Universal City, è pensato come un lavoro in progress, una serie di ipotesi, nessuna delle quali portata a compimento. Questo dato di fatto richiama l’attenzione sull’idea che esiste un ventaglio di possibilità, che ogni situazione può essere esaminata da diversi punti di osservazione, tutti probabili allo stesso modo.
La realtà è costruita su calchi aperti, che possono contenere molteplici reperti: esiste una sorta di archivio della memoria nel quale l’unico legame possibile è costituito dalla dimensione temporale. È infatti la pubblicità di orologi preziosi comparsa su The New York Times in giorni diversi a motivare la catalogazione di Lewitt. Un particolare risulta inquietante: le lancette sono tutte fissate sulla stessa ora, le 10:10, quasi a voler individuare nell’arco della giornata un punto preciso di riferimento temporale, una sorta di antidoto alla frenesia che scandisce i movimenti e le vicende quotidiane. Nell’apparente discontinuità delle immagini si evidenzia un filo conduttore, rappresentato dall’idea di successione nella quale gli eventi si manifestano. Le immagini, separate l’una dall’altra, si ricostituiscono in un’unità ideale segnata da infinitesime differenze, che non fanno altro se non sottolineare il flusso ininterrotto della coscienza.
tiziana conti
mostra visitata il 29 maggio 2007
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