Finalmente una mostra per parlare dello splendido patrimonio storico e artistico dei castelli piemontesi. Dalla torre, al ricetto, al castello-fortezza o residenza signorile, sono attualmente quasi duemila gli esempi di queste straordinarie strutture disseminate sull’intero territorio, e spesso misconosciute. All’interesse per l’argomento trattato, si aggiunge la singolarità della sede: le cantine dove nacque, grazie all’opera della Marchesa Giulia di Barolo, l’innovativa produzione che dette origine al celeberrimo vino, vanto dell’enologia del nostro paese. Le cantine, finora chiuse al pubblico, liberate da detriti e riportate alla loro antica struttura, costituiscono un interessante scenario, per presentare testimonianze che vanno dall’Alto Medioevo fino al XVI secolo.
Pesanti volte in mattone, archi e travature, gli spessi muri che dividono gli ambienti accolgono, nel suggestivo sottofondo di musiche medievali, corazze, picche, spadoni: alcuni originali, e spesso provenienti da collezioni private, altri ricostruiti, come le pesanti cotte in maglia di ferro, prodotte saldando, ad un ad uno, gli anelli tratti da una lunga spirale metallica. Oggetti di splendida fattura sono disseminati lungo il percorso: un pettine francese in avorio, proveniente dalla collezione di Palazzo Madama, un braciere in rame e bronzo, cofani in legno riccamente decorati, armature che si ergono in coni d’ombra, accanto ai profondi pozzi, da cui attingere per la lavorazione del vino.
Fotografie e didascalie ben curate, sebbene a volte poco illuminate, accompagnano lo spettatore nel muoversi da un ambiente all’altro, attraverso i lievi dislivelli e passi ribassati del vecchio pavimento, solcato dai rivoli di scolo per il risciacquo delle botti. Dopo aver ammirato, incastonate nel muro, una serie di miniature che illustrano scene di vita cortese, ci si imbatte nella copia di una mappa del Piemonte dell’epoca, il cui originale è conservato nei Musei Vaticani. E con un certo stupore si ritrovano, in questa raffigurazione, i paesini che ancor oggi costellano la regione, con i nomi un poco mutati dallo scorrere del tempo, ma ancora riconoscibili; e soprattutto appare evidente l’enorme diffusione dei castelli sull’intero territorio.
Ogni colle, ogni altura ha la sua rocca, la sua torre. L’incastellamento, sin dal X secolo movimento di spontanea autodifesa, suddivide e plasma il territorio. Ogni nobiluomo o funzionario edifica la propria fortezza, rifugio per le popolazioni, ma anche segno di controllo e quindi identificativo della dignità nobiliare. Tanto che, nel 1574, il trattatista monferrino Stefano Guazzo, osserverà come a certi gentiluomini, nonostante l’effettiva ristrettezza di mezzi, basterà il possedere “un merlo per ciascuno” per vedere comunque riconosciuto il proprio status. E la ricchezza e l’accuratezza degli oggetti, delle decorazioni vuole ribadire, riconfermare prestigio e potere. E così manoscritti, atti di infeudazione, sigilli, codici, alberi genealogici.
Attraverso erti scalini, dove i consunti battitacco in legno sembrano ancora percorsi dai pesanti zoccoli dei servitori, si giunge al piano terra del palazzo, abitato dalla marchesa negli ultimi anni della sua vita: qui troviamo altre testimonianze, di un passato più recente, fotografie ed illustrazioni di torri e residenze, e le rappresentazioni di castelli piemontesi, alcuni dei quali scomparsi, provenienti dagli accurati affreschi del Gonin.
Insomma un percorso affascinante ed inedito, dove forse solo la poca visibilità di alcuni oggetti, e visite guidate non accuratissime, possono meritare qualche osservazione: comunque un viaggio nel passato da non perdere.
Alda Salamano
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