La luce è, secondo il filosofo medievale Roberto Grossatesta, una corporeità che si diffonde in tutte le direzioni e che spiega i fenomeni del mondo naturale; un’energia che agisce come punto d’intersezione tra il mondo fisico e quello metafisico. La spazialità può farsi epifania dell’idea, può diventare una sorta di calco vuoto, da colmare di contenuti, in modo che l’architettura risulti paradigmatica.
Luce e spazio sono le componenti fondamentali delle installazioni di
Carlo Bernardini (Viterbo, 1966; vive a Roma e Milano), che entra nel cuore della dialettica viva di assenza e presenza, reale e virtuale, luce e ombra, visibile e invisibile. La sua ricerca chiama in causa l’unità della visione, la relatività delle sensazioni contrapposta alla stabilità dell’oggetto. Si comprende quindi come esista un mondo complesso di relazioni metamorfiche che regolano i rapporti tra essere e divenire, e che sono in grado di mutare le condizioni dell’esperienza. Ombra e luce sono al contempo “
incorporee e visibili”,
ed è proprio questa peculiarità che consente “
la scissione di una stessa immagine in diverse e autonome unità visive”.
Il progetto realizzato per la mostra s’intitola
Codice spaziale. Lo spazio è dunque modificabile, è una realtà che soggiace a un codice fondato sulla possibilità di mutarne continuamente le coordinate. Non è chiamata in causa solo la percezione: lo spettatore, infatti, può addentrarsi nell’installazione, facendosi completamente coinvolgere.
Bernardini ha realizzato un triangolo elettroluminescente, una struttura astratta dalla quale si sprigionano raggi che si materializzano come luci e si trasformano in una proiezione geometrica, entrando e uscendo continuamente, e rimandando alle linee perimetrali della figura, riflessa sul pavimento. Il triangolo pare sospeso nello spazio, mentre in realtà tocca la superficie del pavimento e delle pareti, rimanendo costantemente in tensione. Questa situazione di energia comunica un senso di ambivalenza, con un conseguente spiazzamento che deriva dal contrasto irresolubile fra illusorio e reale.
Lo spettatore cammina tra i fili-proiezioni in fibra ottica e viene risucchiato all’interno di questa costruzione. Tutto allude all’ambiguità: la materializzazione e la smaterializzazione della figura generano una dialettica intensa tra spazialità e luce. L’installazione, dapprima incorporea, astratta, poi esperibile sensorialmente, è calata in una dimensione fenomenologica nella quale il tempo risulta sospeso.
Il corpo dell’opera si trasforma così in un gioco infinito di relazioni e rimandi che sottolineano l’abitabilità dello spazio.
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da 20 anni sempre la stessa scultura: Bernardini quand'è che ti evolvi?
la risposta è:
ho trovato il mio bel prodotto commerciale e con questo mi ci sguazzo!