Sopra, l’ampio ambiente che può venire in parte fruito anche dalla strada, appare invaso da una struttura che si snoda intorno al pilastro centrale, costituita da più livelli di travi reticolari realizzate con elementi modulari. Costituite da tondini in ferro filettati, quelli che si utilizzano per armare il cemento, formano uno scheletro sinuoso che invade lo spazio; una vera armatura atta “al non agire”, che si diffonde e si plasma nel contesto in totale sintonia con l’ambiente.
Sotto, muri in carta colorata creano un ingresso, un corridoio tortuoso, una camera rifugio intorno a un tavolo.
Sono i progetti di
Michael Beutler (Oldenburg, 1976; vive a Berlino), artista che si è imposto all’attenzione della critica internazionale ragionando come un architetto o un ingegnere strutturale, anche se non ama definirsi tale. Sceglie un materiale e ne studia le caratteristiche tecniche, disegna sulla pianta dell’ambiente a disposizione, sviluppando percorsi in progressione volumetrica, al fine di costruire nel costruito, per sovvertire il concetto di tipologia e stravolgere quello di funzione. In barba alle infinite diatribe e saggi dedicati al rapporto che lega l’una all’altra.
Beutler predilige il modulo, nell’accezione in cui lo usa
Donald Judd, quale metro ordinatore, riformulatore di superficie. Nel caso dell’artista tedesco, diventa creatore di volumi che disorientano la percezione e assorbono i metri cubi di aria disponibile, incanalando l’energia del movimento, orientando lo sguardo e i passi dell’osservatore. Ordine che sconfina nel caos, se non sempre geometrico, sicuramente concettuale: linee che si sfaldano, geometrie che si decompongono, il tutto assolutamente tangibile se non percorribile, come nel grande allestimento nel parco di Villa Manin.
A definire le linee di forza è sempre la materia, anche se Beutler studia la simmetria per riconoscerla attraverso un nuovo identificarsi, trasla e ruota i piani per annullarne la funzione, com’è avvenuto all’edificio in legno proposto in occasione di Artissima.
Se è vero che le arti visive annaspano nell’ardua ricerca del nuovo e spesso propongono mediante produzioni bidimensionali la ricerca del codice architettonico, è certo che solo attraverso il concreto impossessarsi dello spazio si riesce ad attingere a quella molteplicità di discipline che regolano la complessità dei sensi e la razionalità del cosmo. Propria del
decostruttivismo, la geometria instabile di Beutler nasce e si confronta con lo stato di fatto del luogo, si avvale sia del concetto di disarticolazione che di quello di ricostruzione.
Un aspetto interessante da considerare è che essa sembra appartenere alla forma precedente. Nasce all’interno di un sistema che potrebbe da sempre averla insita in sé, e tale forma d’espressione produce inquietudine, poiché non si comprende più quale sia la perfezione.