Di motivi per visitare questa mostra ce ne sono diversi e tutti ugualmente validi. Innanzi tutto, si tratta della prima personale torinese del pittore e capo teorico del
Neo-Geometric Conceptualism,
Peter Halley (New York, 1953). E precisamente nella galleria In Arco, dove a essere esposti non sono i consueti quadrati a geometrie fluorescenti (anche quelli, ma solo tre), bensì i disegni colorati ad acquerello su carta, finalizzati alla realizzazione successiva dei ben più grandi e omologhi dipinti su tela e considerati alla stregua di progetti, non pezzi autonomi:
Works for projects, appunto, come il titolo della mostra.
Sulla falsariga del
Neo-Geo, corrente artistica da lui stesso teorizzata nei primi anni ‘80, Halley cerca infatti di esprimere un’arte oggettiva, metropolitana, minimalista, distaccata e impersonale, analoga a un prodotto industriale, potenzialmente riproducibile all’infinito ma concettualmente unica, perché tale concepita dall’autore.
Poi, il fatto che questa mostra si sdoppi, andando a lambire la collezione dei suoi lavori proprietà di
BSI Art Collection e riaperta in via del tutto eccezionale in concomitanza con quest’occasione espositiva, è un’altra ragione di sicuro interesse.
Anche perché si ha la possibilità di rivedere l’interpretazione che l’artista newyorkese ha fatto nel 2003 di alcuni ambienti della banca, situata in un’ala dello storico Palazzo Carpano (quello della società che produce il celebre vermouth). E apprezzare la visualizzazione, in forma di
wall drawing, del suo concetto di immediatezza esecutiva, trasmesso dal procedimento tecnico della stampa serigrafica riversata sulla tappezzeria delle pareti di corridoi e uffici, nonché del suo impiego di materiali sintetici come l’intonaco
roll-a-tex (un omaggio alla granulosità dei motel anni ’70) su alcuni suoi tipici dipinti.
Infine,
dulcis in fundo, l’esibizione, sempre nella stessa sede torinese della Banca Svizzera Italiana, di
Cinderblock Prison, monumentale opera appartenente a un ciclo di nove pezzi intitolato
Wall Relief e risalente al 1989, finora mai esposta in Italia. Un po’ l’anello di congiunzione di tutta l’operazione
Halley in Turin, perché concentra in un solo quadro, azzerandone la materia e il colore, i temi della sua visione artistica.
Temi legati al potere coercitivo del sistema che, qualunque esso sia, da quello più semplice costituito dalla comune presa elettrica a quello eticamente più complesso, rappresentato dall’ordinamento giudiziario, è al centro del suo fare arte da oltre vent’anni. Risolto visivamente da linee, riquadri e barre, a manifestare l’ingerenza della geometria nel quotidiano. Fatto di passaggi tali da raggiungere la forma-icona del quadrato minimalista monocromo, al centro del quale s’inserisce un altro quadrato, diviso da tre strisce verticali, a rappresentare la finestra con le sbarre che diventa la cella di un carcere grigio cenere -la
Cinderblock Prison-, in questo caso murata.
Ma da un muro fittizio, virtuale, artificiale, sottolineato dall’uso della fibra di vetro e dalla sua realizzazione in un laboratorio di scenografie cinematografiche di Los Angeles.