La poetica di Francesco Casorati è significativamente riassunta nella nota autobiografica che egli rilascia nelle pagine del catalogo, una vera dichiarazione d’amore nei confronti della pittura, una vocazione nata e coltivata con grande umiltà che è poi la vera essenza di un grande artista. Varrebbe la pena leggere e rileggere le righe di questo contributo per apprendere appieno l’essenza della sua opera, senza poi necessariamente commentarla, perché già in quelle righe è tutto detto.
Questa mostra allestita nelle sale della Bolaffi è stata organizzata dalla Regione Piemonte e dalla città di Torino, è la prima antologica, una delle più complete che siano mai state dedicate al pittore torinese con un centinaio di opere su tela ed una rassegna significativa di incisioni che coprono il periodo che va dagli anni Cinquanta fino all’anno 2000. Il percorso in questo labirinto di immagini in bilico fra astrattismo, citazioni, sogno, inizia con le opere degli anni Cinquanta caratterizzate da forti cromatismi, colori stesi con pennellate piatte, quasi a ricreare i giochi di contrasti del primo Kandinsky – come le tempere su cartone nero dei primi Novecento. La tela del 1953 Battaglia nel bosco è un chiaro riferimento all’opera di Paolo Uccello che egli vide agli Uffizi. Il geometrismo delle forme oscilla fra l’astrattismo puro e quello ancora legato al dato reale, visibile nei cromatismi che riconducono alle sensazioni di una visione divina e a tratti così vicina, per sfumature, alla natura. Molte opere di questo periodo sono caratterizzate da un’impostazione della struttura “classica”, rinascimentale, sulla quale le figure, le forme ed i colori giocano un ruolo decisivo nel progressivo processo di astrazione. Di fronte a opere come L’incendio del 1955 o Paesaggio del 1954 si possono scorgere citazioni medievali, provando ad osservare queste tele a debita distanza e con gli occhi socchiusi si possono vedere i bagliori delle vetrate gotiche.
Nella lettura critica di queste opere ineccepibili da un punto di vista tecnico, l’osservatore attento potrà scorgere significati molto profondi che vanno al di là della pura rappresentazione formale, si può percepire – e questo dato è straordinario – l’essenza non solo della poetica o del messaggio che il pittore ha voluto trasmettere, ma la vera e più profonda personalità di Casorati stesso, una confessione inconfessabile, un diario personale che è possibile leggere attraverso i colori. Una lezione di grandezza e capacità. Ogni volta che si scorgono in profondità le pulsioni di un artista ci si commuove, si resta pietrificati da messaggi talmente intimi, ci si sente confessori ed allo stesso tempo privilegiati per essere riusciti ad entrare in possesso di tale fortuna.
Col passare del tempo si nota come il gioco sottile fra citazioni, cromatismi, virtuosismi si fanno sempre più chiari e raffinati, ormai Casorati si allontana da ogni fonte per trovare da solo le ispirazioni. A volte le opere sembrano il gioco di un fanciullo virtuoso, altre volte l’espressione di paure ed oppressioni di un uomo prigioniero di un modo d’essere, alla fine si rimane spiazzati perché ci si rende conto che abbiamo fatto il suo gioco, abbiamo meditato, ci siamo commossi, abbiamo avuto paura, abbiamo provato sensazioni che ci fanno uscire diversi dalle Sale della Bolaffi. Grande lezione di bravura, di magia.
”…Ho cominciato a dipingere per consuetudine familiare ed ho continuato, forse senza neanche rendermene conto, e mi sono ritrovato con la tavolozza in mano, i pennelli da lavare tutte le sere, le tele da tirare e preparare, i quadri da cominciare e da finire, i quadri da incorniciare, i critici da adulare, i colleghi da cui difendersi…e, soprattutto, la pittura da amare” Francesco Casorati.
Michela Cavagna
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