Nuova galleria, altri orizzonti. Questa volta verso il
Far
East, dove le
esperienze di tre collezionisti s’incrociano per dar vita a Torino – in
collaborazione con la Galleria The Drawing Room di Manila – a un progetto di
ricerca e ricognizione del panorama del sud-est asiatico.
Tracciare una cartografia artistica delle macro e
micro-zone di questi territori significa anzitutto chiarire come le Filippine
non siano, come si potrebbe pensare nell’immaginario stereotipato occidentale,
un paese tutto tigri e dragoni. Nazione infatti concepita alla luce della lotta
post-coloniale contro la Spagna, che vi aveva dominato per 400 anni, la storia
delle Filippine sembra svilupparsi come una Passione, nel senso cattolico di
persecuzione e redenzione. E diversi sono i contesti in cui l’arte si
manifesta, come contrastanti sono le realtà del Paese, nel dualismo tra miseria
dilagante e opulenta presenza del consumismo globalizzato.
Nelle opere in mostra, i sedici artisti paiono da un lato
voler ristabilire la propria identità indigena e, dall’altro, filtrare e
incorporare gli aspetti positivi delle influenze straniere. Ecco perché Patrick
D. Flores, nel testo in catalogo, parla di una sorta di “
barocco tropicale”, cioè di un esotismo radicale –
rappresentato ad esempio a partire dalla varietà di specie botaniche presenti
nella nazione – e della sua vena barocca, eredità del cattolicesimo che
s’inserisce nel crogiolo della Controriforma, della democrazia e, non ultimo,
della cultura di massa americana.
Nel tentativo di coniugare istanze di accumulazione e
transitorietà, la coppia
Alfredo
& Isabel Aquilizan recupera centinaia d’infradito
nel bacino di un fiume. Pantofole lise e più volte ricucite fino alla loro non
calzabilità, che nell’installazione costituiscono le piume delle ali di un
grande angelo salvifico (
Last Flight). Anche i disegni dei tatuaggi di prigionieri, trasferiti
sulla superficie argentata di una jeep da guerra americana, diventano i temi e
gli slogan di un animato mezzo di trasporto popolare (
In God We Trust).
Mentre
Winner Jumalon, nel riflettere sul senso di dislocazione,
ricostruisce minuziosamente la casa/capanna di famiglia con dipinti perimetrali
a effetto
trompe l’oeil,
Wawi Navarozza omaggia
Frida Kahlo, impersonando lei stessa l’artista messicana. La
mise
en scène di un
vero e proprio set, immerso però nei tropici del sud-est asiatico, permette a
Navarozza la mimesi totale con l’eroina femminista delle arti.
Citazioni e bricolage anche nei dipinti di
Kiko Escora e nelle installazioni di
Lirio
Salvador, dove
l’abilità compositiva e la ricerca del dettaglio si trasformano in
iperrealismo. Infine, usciti forse da un incubo, i ritratti di
Jose Legaspi rappresentano le terrificanti
esperienze emotive di un popolo in tensione fra la calma e le imprevedibili
catastrofi naturali del clima tropicale.
Caravanserraglio di un popolo,
Verso Manila coglie in profondità l’urgente e
l’emergente di una società di abbondanza e rovina, gioia e fatica, male e
dolore.