La mostra curata da Adam Carr presso la galleria di Norma
Mangione si presenta come una riflessione visiva su uno dei rapporti più
significativi del sistema dell’arte contemporanea: quello fra artista e spazio
commerciale.
A partire dagli anni ‘70, durante la grande stagione
concettuale, viene infatti ad articolarsi una tensione che punta a ridiscutere
le forme, le funzioni e i luoghi degli spazi espositivi, modificandone in modo
irreversibile il senso, teso sempre più verso una riflessione a tutto tondo
sulla società contemporanea. Concentrata in una strenua riflessione su se
stessa, l’arte ridefinisce in quegli anni il sistema di meccanismi, di percorsi
e di valori che portano alla sua affermazione.
Nei primi anni Duemila, in un contesto di crescita del
sistema dell’arte contemporanea, questa fertile riflessione diviene un elemento
essenziale e un must d’una ricerca che attualizza e reinterpreta le grandi
innovazioni degli anni ‘70: negli anni del boom del contemporaneo, non c’è
opera che non interroghi lo spazio espositivo in cui si inserisce.
La mostra però non si presenta come un’esposizione
didattica, bensì mescola residui di opere storiche con lavori recenti, e ciò
che emerge come elemento distintivo è un insieme di tracce e segni
difficilemente tangibili, che lasciano supporre un dialogo performativo con lo
spazio, portando sempre con sé un certo grado di invisibilità.
È il caso del lavoro delle artiste danesi
Nina Beier e
Marie Lund,
Autobiography (If these walls
could speak) (2009),
in cui è stato
richiesto allo staff della galleria di riscoprire i buchi nel muro delle opere
precendentemente esposte; o il lavoro dell’inglese
Ryan Gander,
The markings on the floor
that suggest the evidence of a struggle (2009),
in cui vengono poste in evidenza i segni e i graffi creati
dalle suole sul pavimento.
A queste narrazioni invisibili si accompagnano opere meno
connesse al tema dell’esposizione e in cui il rapporto tra opera e galleria viene
esteso fino a diventare un grande contenitore, dentro il quale è potenzialmente
possibile far rientrare qualsiasiasi lavoro. Si passa così dal piccolo e
umoristico ready made di
Stella Capes, in cui una carta da gioco viene conficcata nel muro,
alle scritte di
Lara Favaretto.
La riflessione in galleria vuol presentarsi come una
panoramica vasta, potenzialmente priva di confini, capace di proporre lavori
storici come
Closed Gallery Piece (1969) di
Robert Barry e di giungere fino a oggi,
passando attraverso l’esperienza della Wrong Gallery di
Cattelan, qui ricordata dal lavoro di
Andreas
Slominski.
Abituatoci già ad Artissima 2009 a presentare lavori che
cercano d’indagare meccanismi e format non tradizionali, Adam Carr si sofferma
nel presentare una scelta di quegli apparati effimeri, come comunicati stampa,
inviti, poster ecc., che accompagnano le mostre, ponendo l’attenzione su un
sistema di meccanismi che offre ancora molti possibili elementi di rilfessione.
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Nella presentazione originaria sul sito della galleria di torino anche il nome Adam Carr veniva ripetuto tre volte. Forse una svista, forse un lapsus freudianio che testimonia come Adam Carr sia il vero centro del progetto. La redazione della lista di artisti è fin troppo facile, quello che conta è saper connettere opere e "frammenti di opere" nella maniera più poetica, possibilmente anti-didattica ed originale. L'artista è Carr. Ma queste mi sembrano banalità, ma in pochi (nonostante tutto) ne sono consapevoli. La maggioranza degli artisti coinvolti rappresentano (legittimi) valori consolidati "usati" come accessorio, come "colore della tavolozza". Forse più difficile la situazione di valori non del tutto consolidati, "usati" come sfumature. Il dipinto finale è legittimamente di Adam Carr. E il suo lavoro non è neanche difficile. Nel lavorare con frammenti e "opere storiche" non si sbaglia quasi mai. Mio figlio fa lavori con il pennello bellissimi e riesce a citare "opere storiche" e "frammenti" più recenti. Per esempio.
Quindi mi trovo in imbarazzo se mi chiedono se sono un artista. Posso rispondere che l'artista deve ripensare radicalmente e onestamente al proprio ruolo. E siamo in una fase di passaggio.
riporto il testo quì sopra:"La mostra però non si presenta come un'esposizione didattica, bensì mescola residui di opere storiche con lavori recenti.."
signori ma quando la smettiamo di farci prendere per i fondelli! la mangione fino a meno di un anno fa seguiva artisti che ora rinnega. ha scelto la strada facile per assicurarsi un posto in poltrona. ha sfruttato amici e artist per ciò che le faceva comodo, ora li ha messi tutti nel dimenticaio pensando che basta avere dei soldi per fare i progetti. basta qualcuno abbia il coraggio di parlare. grazie
bugie bugie ancora bugie
così proprio non va bene ragazzi..
ma non vi siete stufati di essere offensivi?
perchè non dimostrate il vostro punto di vista con argomentazioni complete ed acute?
Così sminuite il valore di questa testata,
e poi che strumenti vi rimarranno per esprimere la vostra opinione?