Di ritorno dall’Africa,
Antonio Gesmundo (Torino, 1964) espone le fotografie scattate durante un safari in Kenya. Foto delle vacanze? Il sospetto viene facilmente, anche prima di vedere la mostra. Certo, immagini sofisticate ed eleganti, ma pur sempre il risultato di quindici giorni agostani. Un safari in tenda all’insegna dell’avventura, non esattamente una vita passata a conoscere l’Africa, esplorandone i più remoti anfratti.
Se di foto di vacanze si tratta, l’occhio di Gesmundo sul Continente Nero è più simile a quello di un viaggiatore d’antan, affascinato da terre esotiche e misteriose, piuttosto che a quello di un moderno turista con apparecchiature digitali al seguito. Fedele a un rigoroso bianco e nero, inquadra paesaggi straordinari, dove dominano incontrastati la natura selvaggia e i grandi animali. Lontano dalla spettacolarità urlata delle foto da rivista, come fa notare Cristina Franzoni, il fotografo cerca l’armonia della natura, ricreando spazi atemporali e ritraendo animali come fossero persone.
Il risultato è una serie di fotografie essenziali, caratterizzate dal contrasto fra la nitidezza degli animali in primo piano e lo sfumato dello sfondo, che immerge il paesaggio in una sensazione atmosferica, quasi di sogno. Gesmundo rifugge dalle moderne tecnologie digitali e non si affida alla post-produzione per ottenere effetti particolari: la sua tecnica è assolutamente tradizionale, utilizza pellicole in bianco e nero e riproduce i negativi a mano su carta ai sali d’argento.
Per raggiungere il risultato estetico ed espressivo che desidera gli sono sufficienti accurate scelte di ripresa e lavoro in camera oscura, e anche quest’aspetto lo distanzia dalle tendenze oggi dominanti.
Protagonisti delle sue immagini non sono unicamente i paesaggi. D’altronde, Gesmundo non è nuovo all’applicazione di tecniche ritrattistiche ad animali o a esseri inanimati, dal momento che in una precedente serie fotografica aveva immortalato fiori in bianco e nero, cercando un ideale paragone tra la bellezza della natura e quella del corpo femminile.
Le sue immagini non hanno tempo né movimento, la sua Africa pare un territorio mitologico non toccato dall’uomo. Forse questa visione idilliaca del continente, ben lontana dalla realtà quotidiana della maggior parte dei suoi abitanti, risente dei pregiudizi che l’Occidente da sempre nutre nei confronti di quella terra lontana, fonte di infinite suggestioni. Per quanto ben scattate e ben stampate, con cura e amore per il dettaglio, resta il dubbio che questa eleganza formale nulla aggiunga a un’immagine piuttosto stereotipata dell’Africa, luogo dell’anima incontaminato e perfetto.