Una delle qualità distintive di
Karim Rashid (Il Cairo, 1960; vive a New York) è la sua cultura, costruita su contaminazioni tra Oriente e Occidente. Padre egiziano e madre inglese e, successivamente, molti elementi formativi, quali viaggi, soggiorni in diversi Paesi, il Canada fra gli altri e, attualmente, sede a New York.
Il design rappresenta per lui una reale possibilità di comunicazione di massa, di soddisfacimento delle esigenze popolari. In tal senso è orientato il suo lavoro, che si sviluppa in molteplici percorsi di notevole originalità, attraverso collaborazioni con diverse aziende leader del settore, quali Alessi, Dirt Devil, Prada, Umbra, e con creazioni originali, come il ristorante
Morimoto a Philadelfia.
Due monografie,
Evolution e
I want to change the World, risultano particolarmente interessanti per focalizzare quel che il design rappresenta per Rashid. L’evoluzione del gusto, della percezione, dello stile procede di pari passo con le trasformazioni del mondo, così da impedire che ci si àncori al passato e alla tradizione. È fondamentale vivere in una realtà “
totalmente differente, piena di oggetti, spazi, luoghi, spirito ed esperienze assolutamente contemporanee. Il design è finalizzato proprio a modificare la cultura, a migliorare la qualità dell’esistenza da un punto di vista poetico, estetico, sensoriale ed emozionale”.
La mostra
Blobulous, prima personale torinese di Rashid, si colloca nell’ambito di Torino World Capital Design e del XXIII Congresso di Architettura. Il leitmotiv è la dimensione effimera che caratterizza il design contemporaneo e che ne rappresenta l’aspetto più affascinante. La parte centrale della mostra è costituita dalle
Blobulous Chairs, sei sedie in fibra di vetro, disposte in modo da suggerire forme fantasiose, come una corolla dischiusa, dai cromatismi volutamente arditi, tipici del mondo della pubblicità, eccessivi nell’accostamento, blu e arancio, rosa e bianco, limetta e fucsia. Sinuose, leggere, biomorfe, richiamano una sensualità morbida e suggeriscono una fluida mobilità.
Sulle pareti sono disposte immagini fotografiche di grande dimensione, nelle quali le forme che caratterizzano il percorso di ricerca di Rashid sono contestualizzate nello spazio e, in alcuni casi, sono avviluppate in una rete sottile di segni ondulati.
Digilove mescola forme e lettere, costruendo uno strano alfabeto che anima lo sfondo nero. Fotografie e installazione sono accomunate dal colore, che s’impone perentoriamente alla percezione.
Chiude la mostra l’installazione di tre sedie in plexiglas,
Karkophony,
Caos e
Wired, sulle quali sono impressi segni dalla vibrante intensità cromatica.