Prendendo spunto dal pamphlet di Lenin e dall’omonima opera di
Merz,
Che fare? si pone come momento di riflessione sulla condizione e il ruolo dell’arte in relazione alla società. Attraverso diverse pratiche performative, dove per performance s’intende “dare forma, portare a compimento un’operazione”, il ciclo di eventi (che vuol pur sempre dire spettacolo) si colloca in un preciso momento storico dove, non solo in Italia, la crisi ridimensiona inevitabilmente anche il fare artistico.
Pratica a metà tra l’effimero e il semipermanente, la performance oggi dovrebbe dunque rispecchiare la recessione, al fine di recuperare l’esperienza artistica in stretto contatto col pubblico. La perfomance, lo si sa, va vista e soprattutto vissuta, poiché non vi sono video o fotografie che possano restituire il momento emotivo dell’esserci. Il Castello di Rivoli, nonostante questa presa di coscienza, al termine d’ogni azione propone al pubblico documenti, tracce e segni del passaggio degli artisti.
Prima fra tutte, l’azione di
Ana Prvacki che, restituita nel video all’ingresso, rivisita la collezione permanente, mentre l’artista passeggia suonando strumenti a fiato e raccogliendo in appositi sacchetti trasparenti la saliva accumulata durante l’esecuzione. La riflessione è sulle qualità benefiche e guaritrici della saliva, ovviamente attraversando la collezione, dove il passato diventa generatore di futuro. Sputando?
Al terzo piano, invece, le due garanzie del ciclo:
Nedko Solakov e Dan Perjovschi. Il primo mette in scena un teatrino/cabaret all’italiana, dove i protagonisti – esortati dall’artista a lavorare sul sentimento della rabbia – improvvisano conflitti verbali tipici del nostro quotidiano (dallo scontro con la portinaia alla riflessione sul senso dell’azione in corso). Il tutto con le mani legate, evitando cioè che le persone ricorrano alla gestualità per cui gli italiani sono conosciuti all’estero.
Dan Perjovschi si cimenta invece in un’azione ossessiva di riempimento e svuotamento. L’artista, infatti, disegna, rimuove e ridisegna (
Draw-Undraw-Redraw il titolo della perfomance) le pareti della sala espositiva e, con sagacia, affronta problematiche attuali, rivendicando la caduta del pensiero critico. Ed è così che prendono velocemente forma disegni, schizzi, battute e giochi di parole, che invitano realmente lo spettatore a riflettere sulla politica, il consumismo mediatico di Facebook e Twitter; gesti che lo stesso artista dichiara “
non essere esattamente performance e neanche solo disegni. Qualcosa nel mezzo (forse)”.
Sospeso tra reale e mediatico si muove
Massimo Grimaldi che, attraverso la ricercatezza delle immagini presentate come sfondo dei performer, intende rivelare la purezza delle immagini stesse, la loro non riconoscibilità in precisi
loghi e
luoghi, e il fatto che l’immagine rappresenti a tutti gli effetti la forma. Ma se “portare a compimento un’operazione” significa eseguire a fondo qualcosa, questo scendere in profondità nell’arte – almeno così sembra a Rivoli – comporta un atteggiamento lontanissimo dal meccanicismo dell’agire comune e richiede un alto grado di sofisticazione, nel senso cioè di raffinatezza concettuale.
Distante, infatti, dal tanto ricercato e ambito coinvolgimento del pubblico è
Mark Leckey, il nuovo Turner Prize che, attraverso una conferenza-concerto, cerca un dialogo coi partecipanti. Sovrastando però un palco dove assomiglia più a un
English teacher con tanto di lavagna e gessetti che a un guru della cultura popolare.
Ennesima involuzione. Anche al tempo della crisi.
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L'intuizione è giusta ma poi l'aderenza al solito protocollo contraddice tutto e vanifica. Qualche artista straniero e grimaldi di zero (zani-bonacossa). Manca un reale ascolto della realtà, c'è chiusura e si procede per protocolli sempre uguali a loro stessi.
Il Castello di Rivoli figura tra le istituzioni che promuovono gli artisti di Italian Area (come si può facilmente leggere nel sito italianarea.it "museo senza centro" dove appare la scritta: "Gli artisti in Italian Area sono promossi da alcune prestigiose istituzioni italiane"), archivio milanese dove alcuni critici (Bertola, Ferronato, Vettese, Scardi) selezionano una rosa di artisti di cui viene documentato e sostenuto il lavoro.
Ciò mi ha stupito poichè Rivoli dovrebbe restituire al pubblico una fotografia della produzione artistica attuale equilibrata, credibile e non condizionata dai gusti e scelte di un gruppo ristretto di critici tra i quali troviamo Angela Vettese, intellettuale al centro, a Venezia, di roventi polemiche proprio per la sua impostazione di svilire, di umiliare e perfino attaccare, insultare (dalla posizione istituzionale di presidente Bevilacqua La Masa) la produzione artistica contemporanea legata al territorio, a favore dei poteri forti del sistema dell'arte.
Quale attenzione riserva il Castello di Rivoli alla produzione d'arte contemporanea legata al territorio e non succube delle lobby di potere del sistema dell'arte?
Perchè Rivoli promuove gli artisti di un archivio d'arte milanese e cosa ne riceve in cambio? Perchè moltissime nuove correnti dell'arte contemporanea non sono documentate dalle mostre del Castello di Rivoli che pare invece restituire un'immagine dell'attualità singolarmente simile a quella che vediamo proposta dai critici del centro milanese denominato Italian Area?