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fino al 14.I.2006 L’altro, lo stesso Torino, Francosoffiantino
torino
Confronti a due. Tra l’artista e il pubblico, l’artista e il critico, l’artista e i suoi predecessori. Una collettiva inquieta fatta di fotografie, video e installazioni. Analisi in più atti del tema dell’identità...
Il mondo dell’arte è quasi sempre una questione di identità in relazione. Oggi l’arte nasce da un dualismo non risolto, da una serie di legami e di conflitti che trovano nell’opera una pacificazione solo temporanea. L’artista e la critica, l’artista e i suoi maestri, l’artista e gli altri artisti, ma anche l’artista e il suo lavoro, l’artista e i suoi strumenti, l’artista e se stesso.
Curata da Irene Calderoni, L’altro, lo stesso è una conturbante collettiva che intende indagare alcune modalità di questa relazione. Una di quelle mostre che ti lasciano, oltre al piacere di averla vista, un’inquietudine di fondo che fatica a sparire, nonostante l’ironia leggera che si percepisce in quasi tutti i lavori. Incorniciata da un bellissimo frammento dell’intervista di Cattelan ad Alighiero e Boetti, la mostra si apre con A cena con Angela (2005), di Domenico Montano. Docente di Montano a Venezia, la critica Angela Vettese viene coinvolta dall’artista in un processo di corteggiamento documentato da una serie di scatti e da un video-messaggio di invito, e culminato nella cena consumata in galleria durante l’inaugurazione. Una riflessione garbata e giocosa sulla costruzione di un’identità artistica, e sulla mobilità delle maschere che questo processo ci costringe a indossare (così, nel messaggio l’artista parla tramite un amico, e nella performance una sosia sostituisce la Vettese).
The Dark Hearts (2004), la video-installazione della giovane americana Sue De Beer, si sofferma invece, come quasi tutti i suoi lavori, sull’adolescenza come fase problematica di costituzione dell’identità. I protagonisti indossano goffamente delle identità precostituite, quella del giovane metallaro e quella della donna disinvolta, per poi scambiarsele in un impacciato atto d’amore: il tutto filtrato da un’installazione che rende un nostalgico omaggio al luogo topico –ma ormai in declino– della “perdita della verginità” del giovane americano di provincia, il drive in tanto amato da Lansdale, con la cui narrativa il lavoro di De Beer ha molto in comune.
Artista e filmaker in grado di muoversi con disinvoltura tra media diversissimi, Lynn Hershman Leeson –definita di recente dalla giuria dello ZKM di Karlsruhe “la donna più influente dei nuovi media”- ha posto al centro del suo lavoro la questione dell’identità femminile e della creazione di identità fittizie. In mostra è presente con un autentico classico del genere, la serie fotografica dedicata a Roberta Breitmore (1973-1978): un personaggio cui ha conferito statuto di esistenza tramite una serie di azioni e di documenti, compresa una perizia psichiatrica.
Se il lavoro di Hershman indaga la costruzione sociale dell’identità femminile, il canadese Rodney Graham e l’olandese Mark Manders aggiornano, in maniera diversissima, la lunga tradizione dell’autoritratto, ma solo per minarne le fondamenta. A Little Thought (2000) è un breve film in loop continuo, in cui Graham interpreta contemporaneamente un borioso borghese e uno sfigatissimo straccione i cui destino si incrociano, quasi su appuntamento, a mezzogiorno in punto, solo perché il primo possa sferrare un calcio alla pezza-bersaglio che adorna le natiche del secondo. Ambientato nel Settecento e costruito su una circolarità perfetta, il video sembra giocare sulla doppia identità del suo autore, artista e musicista pop, e sul fatto che l’acquisizione di un ruolo è sempre una violenza, rivolta, in primo luogo, contro se stessi. Wall with Photographs (2003) è invece la dimessa ricostruzione di una carriera (quella di Manders) interamente dedicata alla progettazione di un edificio-autoritratto: l’ambizione all’opera d’arte totale deve scendere a patti con una identità frammentata, impossibile da ricondurre a un insieme.
Ma è la riflessione sul rapporto tra l’artista e i suoi modelli che sembra produrre, con il lavoro di Gareth James e di Gardar Eide Einarsson, i suoi frutti più crudi. Idioterne (2002) ricostruisce, con una serie di stampe fotografiche accompagnate da complesse didascalie, il rapporto di emulazione – distruzione tra Lars Von Trier e Carl Theodor Dreyer, di cui il primo avrebbe acquistato un abito per indossarlo a Cannes, in un omaggio che è anche il tentativo di prenderne il posto e che i due artisti fanno proprio fotografandosi nudi, con addosso solo una maglietta di Martin Kippenberger e le scarpe di Felix Guattari: siamo nani sulle spalle di giganti, e nel confronto l’emulazione convive sempre con l’auto-degradazione.
link correlati
Il sito di Lynn Hershman
Il sito di Sue De Beer
domenico quaranta
mostra visitata il 7 dicembre 2005
L’altro, lo stesso
Torino, Francosoffiantino Artecontemporanea, via Rossini 23 – 10124 – Torino
dal 12 novembre 2005 al 14 gennaio 2006; dal martedì al sabato, 14.00 – 19.00
Tel. +39 011 837743 Fax. +39 011 8134490
Mail. f.soffi@tin.it
[exibart]
che tristezza…………………..