Sedersi tra le labbra di una bocca gigante, su un capitello ionico, sulla bombetta magrittiana con la mela verde dentro, su un blocco di porfido che in realtà è morbido. E, ancora, abbandonarsi tra i fili giganti d’erba di un pratone o sul guantone da baseball di un gigante, sdraiarsi su un letto che sembra fluttuare senza appoggi, accendere un lampadario fatto di bottigliette di Campari, appoggiarsi a un tavolo che è una vite estrogenata. Allucinazioni fantastiche? No, semplice design. O, meglio,
Pop Design, come dal titolo della mostra che, inserita nel calendario di Torino 2008 World Design Capital, occupa gli spazi del Filatoio di Caraglio.
Fuori scala, fuori luogo, fuori schema, il sottotitolo della rassegna, si può applicare anche alla Pop Art da cui
Luisa Bocchietto, curatrice della mostra con la collaborazione di Gianni Arnaudo, ha ripreso l’aggettivo pop. I lavori di
Warhol,
Oldenburg,
Wesselmann,
Rosenquist e
Rauschemberg nascono nel periodo del consumismo, della televisione, dell’immaginario fotografico, del desiderio collettivo. Rispondono, come spiega la curatrice, designer a sua volta nonché presidente dell’ADI, “
in un mercato che instancabilmente si rinnova, ciò che appare è, viene amato e subito consumato. Quindi tutto deve essere distintivo, immediato, visibile, comprensibile, accessibile. Deve essere molto colorato, molto delineato, molto grande, per poter esser percepito come un’insegna, addirittura fuori scala, oppure particolare, sottratto al suo contesto”.
Passeggiando fra le otto sezioni (
Il fascino delle lettere,
Lo sguardo zoom,
Il colore rosso,
Offerta speciale,
La stanza dei giochi,
Animalia), l’aggettivo che viene in mente più spesso è kitsch. Ma non è il kitsch dei souvenir veneziani, è più quel
camp partorito dalla mente di Susan Sontag. La grande critica americana usò per la prima volta questo termine nel 1964, quando gli artisti pop misero a soqquadro la gerarchia dei valori dell’avanguardia per dare vita a una forma deliberata e cinica di kitsch, il camp appunto. Per Sontag, questo neologismo definisce “
qualcosa di offensivo, inappropriato, di gusto talmente cattivo da risultare divertente. Molti esempi di camp, da un punto di vista serio, sono arte cattiva o kitsch, ma che possono malgrado tutto meritare la più seria ammirazione”.
Come il rossettone gigante di
Giorgio Laveri, l’enorme lampada da tavolo di
Gaetano Pesce, lo specchio
Ultrafragola di
Ettore Sottsass, la lampada
Lucellino di
Ingo Maurer. Senza omettere l’enorme arbre magique disegnato da
Gianni Arnaudo e prodotto da Gufram, storica ditta piemontese, che nel poster della mostra viene usato come tavolino da picnic nientemeno che dai protagonisti del celebre
Le déjeuner sur l’herbe di
Manet. Più
camp di così…