Si fa presto a dire paesaggio. Nel Settecento, un secolo percorso da idee contrastanti –ma quale secolo non lo è stato?– in bilico tra sentimenti ed emozioni da un lato e attenzione alla realtà visibile dall’altro, anche il concetto di pittura di paesaggio non è univoco. Comprende le immagini idealizzate dell’Arcadia rimpianta dai poeti, le nitide vedute di città, le romantiche visioni di una natura potente e sovrumana, suggestivi mix di rovine di edifici del passato. Anche i termini paesaggio e veduta sottintendono un approccio diverso: più lirico il primo, razionale e scientifico l’altro.
Lo illustra molto bene questa mostra, che racconta un secolo di pittura di paesaggio a partire dalla seconda metà del Seicento. Sono i “cento anni da leone” della pittura di paesaggio, che riscuote un successo crescente anche grazie alle richieste dei viaggiatori -aristocratici e letterati- in cerca di souvenir del Grand Tour.
Nasce in questo periodo la pittura di paesaggio come genere autonomo, la natura da semplice sfondo delle vicende umane diventa la protagonista del quadro; nelle vedute di Canaletto il rapporto figura umana-natura si è addirittura ribaltato: le piccole sagome che animano le calli di Venezia sono elementi del paesaggio stesso, ne fanno parte come le onde che increspano l’acqua del mare, come le eleganti facciate dei nobili palazzi veneziani.
Tutte le opere in mostra provengono dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma e sono suddivise in cinque sezioni tematiche che descrivono i molti modi nei quali il tema della pittura di paesaggio è stato declinato.
La splendida marina di Claude Lorrain (Marina con torre barche e figure) in cui un pulviscolo dorato avvolge una piccola baia con un’atmosfera irreale e magica contrasta con il paesaggio fluviale di Robert Griffier (Paesaggio fluviale con barche e contadini), immagine vivace e vera dell’attività di un villaggio di pescatori.
L’anima romantica del Settecento dipinge la natura come riflesso delle emozioni del cuore umano, non più le immagini pacate e serene del classicismo, ma mari in tempesta, improvvisi bagliori di luce, picchi vertiginosi (Paesaggio con cacciatori di Gaspar Dughet). Anche i paesaggi con rovine (documentati in mostra da opere di Giovanni Paolo Pannini, Hubert Robert, Sebastiano Ricci) evocano emozioni forti, ricordano che il tempo passa e corrode la bellezza.
L’anima razionale inventa la veduta ed ha in Canaletto uno straordinario protagonista (da non perdere oltre ai Canaletto presenti in mostra i sei quadri del pittore che appartengono alla collezione permanente della Pinacoteca). I suoi cieli tersi e le feste veneziane documentate con ricchezza di dettagli sono tra le immagini più celebri della città lagunare. E c’è la Venezia di Francesco Guardi (Veduta di San Giorgio dal canale della Giudecca) non più una veduta otticamente perfetta ma un’immagine vibrante e soffusa resa con un tratto che sfalda i contorni e lascia spazio all’immaginazione e al sogno di chi guarda.
È uno strano contrasto quello tra la natura affascinante dei dipinti in mostra e gli edifici grigi che si impongono alla vista al di là delle finestre della galleria, incoronati dalla struttura leggera dell’arco olimpico simbolo delle Olimpiadi che in queste settimane hanno vivacizzato la sonnolenta Torino. Speriamo che duri.
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antonella bicci
mostra visitata il 5 febbraio 2006
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