Il merito della mostra in corso al Museo Garda di Ivrea è quello di guardare all’arte contemporanea attraverso il suo legame con il territorio, riscoprendo l’opera di artisti che in anni recenti hanno operato nel contesto locale. Un merito significativo, in un momento in cui i musei civici nazionali si preoccupano di costruire collezioni analoghe a Roma come a Dubai, con opere minori di artisti internazionali spesso interscambiabili.
In Italia ogni provincia vanta almeno un futurista o un novecentista specchio dell’eterogeneità che ha permesso alle città italiane di mantenere un patrimonio diffuso e originale, unica chiave per poter raccontare il percorso culturale di territori vissuti, nonostante crisi e fervori.
Il caso di Ivrea risulta in quest’ottica uno dei più interessanti, perché la città è stata il cuore negli anni ’60 e ’70 delle più significative ricerche sociali e architettoniche del Novecento: l’utopia olivettiana. Le importanti collezioni d’arte degli uffici personale e delle officine avevano portato alla città un aggiornamento intellettuale che la poneva in stretto legame con la rombante Milano del boom economico.
L’opera di
André Bortoli (Parigi, 1929 – Ivrea, Torino, 1998) s’inserisce in questo contesto, poco conta se vissuto direttamente o indirettamente, ma sicuramente beneficiato attraverso un clima diffuso fin nella vita quotidiana.
Il suo lavoro porta i segni della ricerca di
Guttuso e
Vedova, maestri – anche se tardivi – celebrati in quegli anni dalle cronache, ma sorprende soprattutto notare il legame con l’arte classica e rinascimentale, vero tema topico della cultura locale degli anni ’60.
La progettazione della città moderna,
Ettore Sottsass in primis, doveva ricalcare la configurazione urbanistica rinascimentale, ed è impressionante notare come negli archivi video Olivetti una buona parte delle ricerche su temi artistici sia dedicata allo studio di Urbino o di altre corti quattrocentesche. Il modernismo viene a essere declinato a Ivrea come ritorno sentimentale al Rinascimento, come mostrano i manifesti pubblicitari di
Milton Glaser. Un legame, quello tra modernismo e Quattrocento, da poco rivalutato, ma che sicuramente deve aver ampiamente influenzato André Bortoli.
Questi rilegge in chiave astratta grandi lavori dell’arte classica italiana, e sorprende la finezza di rielaborazione della battaglia di Costantino di
Piero della Francesca, o gli studi astratti sulle vetrate della cattedrale di Chartres, resi attraverso coloratissimi collage.
Tale sensibilità dev’essersi sviluppata durante la sua formazione presso l’Atelier 17 di
Stanley William Hayter, uno dei più importanti incisori del Novecento, centro del Surrealismo e degli studi di
Chagall,
Ernst e
Giacometti. La mostra diventa così occasione per riflettere sul senso della cultura contemporanea anche in contesti locali.
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ottimo articolo e buona mostra!