Décolleté troppo abbronzati, volti con i segni evidenti della chirurgia plastica, brillanti grossi come nocciole, unghie ad artiglio laccate di rosso, mozziconi di sigarette spente dentro coppe da champagne: questi sono gli aspetti del jet-set americano immortalati dall’obiettivo di Jessica Craig-Martin, protagonista per la prima volta in Italia di una personale, allestita presso la Galleria Maze.
Da anni impegnata come fotografa per illustri riviste di moda, quali Vanity Fair e Vogue, la Craig-Martin sa anche cogliere i risvolti più inconsueti e grotteschi della mondanità: invitata agli sfarzosi party hollywoodiani, Jessica scatta le fotografie nel momento in cui i suoi soggetti si guardano intorno, cioè quando essi pensano che nessuno li stia osservando.
Le immagini scattate dalla Craig-Martin suscitano in noi un senso quasi di famigliarità, abituati come siamo ad assistere, volenti o nolenti, all’andirivieni di VIP festaioli, cui ormai sono dedicate rubriche in quasi tutti i giornali e le trasmissioni televisive; nello stesso tempo, però, queste fotografie ci appaiono per la prima volta quasi oscene nella loro crudezza.
Il sorriso bianchissimo di Ivana Trump, riconoscibile nonostante siano stati tagliati gli occhi, un piede calzato da un costoso sandalo di Gucci, fra bottiglie e bicchieri vuoti sparsi a terra, mani rugose e ingioiellate che si stringono: le fotografie appaiono come inquadrature appartenenti ad un’unica sequenza che si snoda lungo le pareti della galleria, mettendo in scena gli aspetti peggiori dell’America del benessere e del kitsch.
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Per vedere il portfolio di Jessica Craig-Martin
Giorgia Meneguz
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Spero che nell'ottica di collaborazione intrapresa con le altre gallerie, la Maze faccia arrivare anche a Roma questa mostra che - a quanto leggo - mette sulla scena, seppur partendo da presupposti discutibili, quanto di più triste e divertente la multiculturale, multiliberale, multiopportunistica società statunitense produce. Il buongusto, purtroppo, è una cosa che si acquisisce con i millenni. La civiltà americana è, da questo punto di vista, necessariamente e irrimediabilmente inferiore a quelle europee. Quella italiana - non per nazionalismo - prima di tutto ma anche la Spagna, la Francia...
Due parole poi potrebbero essere spese sul fatto che questa sorta di denunzia antroposociale sia fatta da una giornalista che di quel mondo fa parte in maniera totale, e sul fatto che - con ogni probabilità - se i soggetti non avessero gradito lo squalliduccio servizio fotografico...la mostra non sarebbe esistita.