Le tele divengono forma, si materializzano nella plasticità di figure elastiche che paiono essere intrappolate nella struttura dell’opera. Da campiture di colore prendono vita mirabili configurazioni; il quadro acquisisce la terza dimensione, perdendo lo status di bidimensionalità. La sperimentazione di
Agostino Bonalumi (Vimercate, Milano, 1935; vive a Milano) segna una svolta epocale che caratterizza il finire degli anni ‘50, quando insieme ad artisti del calibro di
Enrico Castellani e
Piero Manzoni si oppone alla tendenza dominante del tempo: quella dell’informale. Ed è proprio al termine del decennio che la maturità dell’artista culmina in uno stile peculiare, che rimarrà il linguaggio coerente ed espressivo per l’intera sua arte.
Le prime
Estroflessioni risalgono al periodo 1950-1960. Fra gli anni ‘60 e ‘70 si connotano di un’intensa concezione espressiva, in cui le opere evolvono in una dimensione altra, in cui la pittura e la scultura entrano in dialogo e in contatto, compenetrandosi in lavori emblematici e suggestivi. Del resto, il periodo delle
shapes canvas americane, e l’esperienza di altri artisti europei che “sagomavano” le tele, avevano liberato la struttura della rappresentazione pittorica dalla consueta fissità. Inoltre, sussiste l’influsso di
Lucio Fontana, che permane come un’essenza silenziosa nelle opere dell’artista lombardo. Il gesto dello squarcio sulla tela induce inevitabilmente a una cesura con la bidimensionalità del quadro, che perde definitivamente la sua funzione di mero supporto e diviene il luogo in cui plasmare l’opera.
Nelle creazioni del Bonalumi, le tele si deformano e si contraggono, si dilatano e si diffondono nello spazio. Diventano scultura e al contempo rimangono pittura, nelle tonalità monocrome del quadro.
Nero,
Giallo,
Rosso,
Blu,
Bianco sono i titoli evocativi dei suoi lavori, che rendono partecipe l’osservatore di un’esperienza tattile e visiva. Tele sospinte dall’interno con l’ausilio di supporti lignei e metallici, da cui prendono vita sinuose e mirabili forme, che paiono essere intrappolate nelle pieghe della tela.
In opere recenti come
Magenta (2008) è il segno a essere l’elemento predominante del quadro, che riesce a prevalere sulle altre incursioni di linee. In
Blu (2008) il monocromatismo viene spezzato dall’incursione di una figura geometrica dominata da una campitura nera. La scelta delle tonalità, che si fondono in una medesima assonanza, è evidenziata da una texture di linee la cui convergenza è il fulcro della composizione, nucleo della tridimensionalità.
Ci sono lavori come il monocromo
Blu (2008) in cui la spazialità della tela non solo carpisce lo spazio tridimensionalmente ma si estende, rompendo i limiti esterni del quadro. Una rottura resa evidente anche in opere precedenti quali
Rosso (1970) e
Rosso (1993).
La galleria Mazzoleni propone una cinquantina lavori dell’artista, evidenziando le fasi della sua ricerca. Un ampio excursus, in cui è possibile cogliere come in Bonalumi il quadro perda definitivamente i suoi ambiti precostituiti, la forma si libera nello spazio in una tensione vibrante dominata da introflessioni ed estroflessioni, e il segno, la traccia, fuoriesce dal campo dell’opera.