La pittura che Peggy Guggenheim scopre già alla fine degli anni ‘30 è “
nuova” perché è la prima volta che l’America produce un’arte al passo con la “modernità” europea, proponendo innovazioni che innescheranno le maggiori rivoluzioni artistiche del secondo dopoguerra. Peggy ne è pienamente cosciente, e lo dichiara nella sua biografia: “
All’inizio degli anni ‘40 in America c’era uno spirito puramente pionieristico e da esso doveva nascere un’arte nuova: l’Espressionismo Astratto. Io lo favorii e non me ne pento: produsse Pollock, o meglio fu Pollock a produrre tale stile, e questo basta a giustificare i miei sforzi”.
Pare d’altronde che sia stato l’ex marito della mecenate,
Max Ernst, a ispirare a
Jackson Pollock la tecnica del dripping, un indizio che svela quanto l’ambiente newyorkese assorbisse le suggestioni europee e le rielaborasse in chiave americana: grandi formati (retaggio della politica statunitense del
Federal Artistic Plan e del muralismo sudamericano) e predilezione per tematiche astratte (dopo un periodo di “realismo” di cui
Hopper fu il capofila).
La galleria Art of this Century, aperta da Peggy nel ‘42, diventa un luogo d’avanguardia fino alla sua chiusura, nel 1947. Questi anni cruciali sono rappresentati in mostra attraverso ventun pittori, i maggiori nomi del periodo (
Mark Rothko,
Arshile Gorky,
Sam Francis,
Hans Hofmann,
Franz Kline,
Robert Motherwell,
Willem de Kooning,
Adolph Gottlieb) insieme ad autori meno conosciuti (
Jack Tworkov o
Richard Poussette-Dart).
Tuttavia, se la scelta curatoriale delle opere è significativa ed esaustiva, più problematico risulta l’allestimento. In ragione del formato, alcuni dei dipinti non godono dello spazio sufficiente per essere apprezzati, sacrificati su pareti eccessivamente stipate. Un elemento da non sottovalutare, perché buona parte del senso dell’Espressionismo Astratto deriva dal rapporto fra tela, spazio circostante e spettatore. Lo sapevano bene Pollock e Rothko, che dichiaravano in termini diversi quanto la tela diventasse un luogo attorno al quale girarvi (“
arena”, la definì il critico Rosenberg, pensando ai gesti corporei della danza pollockiana) o nel quale perdersi (severissimo era Rothko nel disporre le sue opere in spazi pubblici).
Anche nella sala più ariosa, le opere di Motherwell, Morris e Rothko risultano di difficile fruizione. Meglio allora le pareti con quadri più piccoli, che illustrano i passaggi più sofisticati nella sperimentazione tecnica di questi artisti. Si segnala la serie di Pollock in cui spiccano l’inchiostro
Senza titolo del 1942 e il monotipo
Senza titolo M 46 del 1943, in cui la propensione per i “disegni rupestri” che sembrano sgorgare direttamente dall’inconscio è ben evidente.
Il dialogo tra Europa e America è riuscito nella scelta degli oli di Gottlieb e
Clyfford Still del primo periodo, in ragione della loro libera interpretazione del Surrealismo. Mentre di straordinario fascino sono i
Senza titolo di de Kooning (1958) e Sam Francis (1951), che testimoniano quanto il gusto di Peggy fosse in grado di apprezzare sia una pittura di gesti violenti e materici, sia quella delicata, fatta di macchie trasparenti ed evanescenti.