Il luogo può ammantarsi di un significato esistenziale, misurabile con il racconto. Lo spazio è l’identità geometrica a cui è ridotto il luogo dopo le astrazioni dell’arte, come mostra questa doppia personale che presenta lavori, come West’s House di Johannes Dario Molinari (Premosello, 1969), che riflettono su come follia e morte trasformano lo spazio in luogo e come l’arte -con un calco in gesso, prospetti architettonici e fotografie- riporta la casa/cimitero di un serial killer inglese alla sua originaria natura spaziale, di abitazione seriale e anonima.
Il ricettacolo di un’esistenza quotidiana indifferenziata, questo spazio della civiltà dell’individualismo isolato che ha assunto lo statuto di luogo dopo aver ospitato l’orrore, torna nell’alveo dell’arte ancora trasformato. Grazie all’indagine concettuale, un ritratto astraente, Molinari riporta il luogo alla sua condizione di pura forma, mettendo in scena la contraddizione tra la facciata pulita e gli interni infernali, con un linguaggio raffreddato che non indulge in emozioni ma si adopera per essere obiettivo, non partecipativo, da obitorio. L’artista coglie lo strepito silente del luogo, mentre la sua arte arresta e dissolve il clangore dei mass media in un “monumento” che è il calco di una realtà architettonica.
Questa realtà riappare in una videoinstallazione recente di Molinari come destino comune di tre scrittori torinesi suicidi: Cesare Pavese, Primo Levi e Franco Lucentini, di cui l’artista elabora i luoghi di morte attraverso la realtà virtuale. Sintetizza un modellino 3D che ruota nello spazio assente della macchina processuale, in cui i luoghi di morte vengono riassorbiti da un linguaggio minimale in spazi irreali, accompagnati da un intrecciarsi confuso delle voci dei tre narratori.
Un differente rapporto con lo spazio instaura Occhiomagico (Giancarlo Maiocchi, classe 1949), nel suo lavoro fotografico preziosamente virato in oro, dedicato a racconti fantastici interpretati da nudi femminili ispirati a Man Ray e immersi in atmosfere surrealiste e metafisiche. Lo spazio qui messo in opera, si nutre di un forte rapporto tra la dimensione interiore e quella esteriore dell’immagine, tra le stanze cieche e profonde, e le cornici sghembe dei light box disposti per terra come tessere di un mosaico spezzato. Tutte le immagini di Mi Vida accolgono simboli di una realtà su cui ha prevalso la fantasia dell’artista enciclopedico. Questa geometria instabile e tagliente si offre ad influenze complesse da parte delle avanguardie storiche, ma anche della fotografia di moda, che funzionano come guide e appigli di un percorso individuale e collettivo insieme. Lo spazio geometrico è qui declinato come luogo dell’estasi e dell’inquietudine, dove la fantasia d’artista si incontra in modo afono con il desiderio del fruitore, chiamato a decifrare simboli e abitare i luoghi estremi della sua mente creativa.
link correlati
www.occhiomagico.com
www.dariomolinari.it
nicola angerame
mostra visitata il 19 maggio 2004
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