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Molte ne dipinse di quelle [vedute] di Venezia così diligentemente e al naturale eseguite che un gran intendimento ricercasi in chi vuole distinguerle da quelle dello zio”. Così scriveva nel 1753 Pietro Guarienti: lo zio è Antonio Canal, il celebre
Canaletto (Venezia, 1697-1768), il nipote così abile nel riprodurne lo stile è
Bernardo Bellotto (Venezia, 1722 – Varsavia, 1780).
Il rapporto stilistico fra Canaletto e Bellotto, per un certo periodo maestro e collaboratore di bottega, da sempre impegna la critica, che ricerca nelle loro opere differenze e affinità. Nella bottega dello zio Bellotto apprese il metodo e imparò l’uso della camera ottica, strumento indispensabile ai vedutisti, il cui utilizzo niente toglie alla loro poetica e abilità pittorica.
La mostra si apre con il confronto fra le grandi vedute veneziane di Canaletto, oggetto di studio per il giovane Bellotto, e le opere dell’allievo. Gli studi recenti evidenziano che, con l’eccezione di poche opere ancora di incerta attribuzione, fin dall’inizio vi sono differenze tra lo stile dello zio e quello del nipote. Le ombre di Bellotto sono scure e marcate, in Canaletto invece l’ombra “
non incide mai come macchia, ma come cesura di vibranti effetti di luce” (Pallucchini); il nipote predilige i contrasti luminosi, le atmosfere di Canaletto si stemperano in un pulviscolo dorato; i minuscoli personaggi di Canaletto sono una folla indistinta che anima piazze e calli, le figure allungate di Bellotto hanno una loro identità.
Le loro strade si dividono a metà degli anni ‘40: nel 1746 Canaletto va in Inghilterra; Bellotto parte da Venezia nella primavera del 1747 e non vi farà più ritorno: fu pittore di corte a Dresda, poi si trasferì a Varsavia. Da questo momento, il suo stile evolve in modo autonomo, sempre più distante da quello dello zio: il linguaggio è quello appreso nella sua bottega, la poetica è totalmente diversa. Alla grazia lieve delle vedute canalettiane sostituisce immagini evocative, con ombre dense che accentuano l’effetto drammatico (si osservino i capricci romani in mostra). Altro elemento di distinzione è l’interesse per la natura: nel
Vecchio ponte sul Po a Torino, Bellotto indugia sui profili azzurri delle montagne, sulla campagna che si apre ai margini della città.
Canaletto a Londra è attratto dalla luce cristallina della campagna inglese (
Warwick Castle, la facciata orientale dal cortile), le vedute che Bellotto dipinge a Dresda sono maestose e monumentali. Le architetture sono riprodotte con infinita precisione, il tratto è netto, l’attenzione si sposta sulle attività dell’uomo; non vi è più traccia della lieve atmosfera canalettiana, che sospendeva Venezia tra cielo e mare.
Se il visitatore, arrivato al termine della mostra, vorrà ripercorrere i propri passi e tornare all’inizio, potrà notare che questa diversa poetica è già presente nelle opere in cui Venezia è il modello per entrambi. L’acqua di Canaletto sembra attraversata dalla luce, è liquida, le atmosfere più trasparenti; Bellotto è nitido, “disegnato”, la luce è tagliente. L’incantevole città che si riflette nell’acqua, avvolta in un pulviscolo sottile, che parlerà prima a
Turner e poi a
Monet, è la Venezia di Canaletto.