La ricerca di Giuseppe Pietroniro (Toronto, 1968; vive a Roma), prende piede da una posizione vicina a quella del filosofo francese Roland Barthes, che coglieva nel mezzo fotografico la capacità di intraprendere una riflessione sull’invisibilità del reale. Nel suo lavoro di estrapolazione e focalizzazione su determinati scorci, l’artista cerca di cogliere la manifestazione della vita: si tratta di una delicata operazione che mira all’epifania della dimensione intima e vitale dell’oggetto reale.
Il tema del luogo, da sempre presente nei suoi lavori, viene sviluppato attraverso ritratti d’interni che recano in sé -e con sé- la storia della loro fruizione. Lontani dagli spazi ampiamente autoreferenziali, alla Tracey Emin per intenderci, gli ambienti immortalati da Pietroniro sono privi di forti tratti distintivi, anche se percorsi da un vissuto.
In questo punto risiede la sfida dell’artista, che interviene sull’apparente assenza per guidare lo spettatore verso una conoscenza altra, al di là dei pochi frammenti architettonici fotografati.
I Know Him Inside Out (Lo conosco intimamente) è un titolo che induce immediatamente ad interrogarsi su quale sia l’individuo conosciuto. Probabilmente si pensa ad un’entità che calca abitualmente i luoghi immortalati, in questo caso sono gli spazi della galleria stessa. Giuseppe Pietroniro ammette di voler lavorare sui luoghi deputati all’esposizione delle sue opere in modo tale che si crei un dialogo con il loro “punto di partenza”.
Entrando nella galleria, le fotografie in bianco e nero catturano l’attenzione, dapprima per l’eccezionale dimensione, e successivamente per lo spiazzamento percettivo che determinano. Le immagini sono collocate all’interno dello spazio utilizzato come soggetto dello scatto stesso, ma appaiono doppiamente speculari: all’interno di ogni fotografia, infatti, si trova a sua volta la foto in dimensioni ridotte. La riflessione in atto è quella relativa alla rappresentazione illusoria che prende il posto della realtà a cui si rifà, posizione sposata anche dal filosofo Jean Baudrillard.
Le varie angolazioni della galleria, riprese e duplicate, architetture che si poggiano su architetture identiche, evidenziano la scorza scheletrica dell’ambiente circostante. Questi scatti, che si affidano solo a pochi dettagli e a forme semplici, sono veri e propri ritratti, forse ancor più rappresentativi di certe scontate riproduzioni. L’ambiente, l’uomo e la sua immagine si identificano allora in un’unica accezione che l’artista identifica come “tautologia del reale”. Nell’altra stanza un video in cui si susseguono inquadrature di ambienti naturali, interni borghesi e gli scorci della galleria, il tutto condito da voci fuori campo dall’effetto straniante. Pietroniro propone un lavoro del quale sono possibili diverse letture semantiche e in cui l’unica certezza inconfutabile è il diretto e intimo rapporto che esso instaura con il luogo espositivo. Allo spettatore il compito di cogliere il resto.
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Nell'articolo di Trigona finalmente sono riuscito a capire un pò il Pietroniro,
un artista giovane di cui avevo sentito parlare da un pò di tempo ma che non sono mai riuscito a comprendere. Lo ritenevo oltremodo complicato e troppo introspettivo. Leggendo questo articolo ho capito che effettivamente è complicato, accettando questo è divenuta chiara l'interpretazione del fotografo artista, perchè è di questo che si tratta, a mio avviso. Per questo ringrazio anche l'autrice dell'articolo che mi ha dato una nuova chiave di lettura nell'interpretazione del Pietroniro.
Marco