Il buio è l’oggetto della mostra. E l’oscurità, qui intesa come origine dell’atto creativo, è anche il tema di
Memorie di cieco di Jacques Derrida, il testo scritto in occasione di una mostra organizzata al Louvre nel 1990 e dal quale partono le riflessioni della trilogia di
Gianluca e Massimiliano De Serio (Torino, 1978), alla loro prima personale.
A partire, infatti, dalla considerazione iniziale del filosofo francese, secondo il quale “
il cieco non è che la rappresentazione dell’impotenza originaria dell’occhio, incapace cioè di cogliere la realtà”, i due artisti seguono la logica di un pensiero errante e, brancolando nel buio delle tenebre di personaggi al margine, cercano di captare qualche traccia del reale, trovandosi senza certezze definite né verità consolatorie. Esattamente come l’amore. Disorientante quanto necessario, l’amore è il sentimento che il mondo intero insegue e che, se intenso e appassionato, ammutolisce perché fa da specchio all’essere umano nelle gabbie relazionali in cui egli stesso è intrappolato.
In galleria, i gemelli articolano la narrazione video su quattro monitor, i supporti solo tecnici della materia emotiva che qui è invece costituita da piani sequenza ravvicinati, da immagini quasi monocrome e da racconti sbiaditi che, alla fine, si trasformano in uno spiraglio di luce. Verso il cielo e verso la terra. Infatti, mentre in
A Star Love, la prima parte della trilogia già presentata a Trento in occasione di
Manifesta7, l’amore è inteso come sentimento passionale e trascendentale, verso l’universo, in
A Dark Love l’atteggiamento è sacrificale e visceralmente si muove dentro la terra.
Mescolati tra realtà, finzione e miracolo, le testimonianze dei due protagonisti, Salvatore il primo e Rosario il secondo, diventano veri e propri ritratti live in cui le immagini evocate parlano di ricordi lontani, memorie e desideri futuri. Salvatore ricostruisce lo scenario del suo sentimento come un universo fatto di galassie e stelle in cui, in una nuova terra chiamata Babilonia, tra meteoriti e piogge stellari, prende forma il suo buio accecante: Maria Teresa. I due innamorati, quasi irriconoscibili nei dettagli del secondo monitor, si trasformano poi nel simbolo incorporeo – in fondo, l’amore in quanto sentimento passa attraverso i corpi, ma non ha carne – di un bacio infinito, di un’unione che a lungo andare può soffocare.
Rosario, invece, s’interroga su un amore mai consumato, una passione di cui ancora oggi fatica a pronunciarne il nome. È il simbolo di un amore fallito, un sentimento colmo di atti mancati che l’uomo – dedito all’alcol – cerca di perpetuare bevendo dell’acqua, quasi come prova fisica o punizione che si infligge per superare il dolore.
Non dichiaratamente, il lavoro dei De Serio parla quindi di miti lontani (Alcesti e Admeto, Euridice e Orfeo), di icone che, articolate secondo un girone dantesco, diventano attuali perché, luce o buio che sia, e ripercorrendo le parole di Jean-Luc Nancy, “
l’amore è il più grande atto di creazione”.