Lo scopo per il quale
Nunzio (Cagnano
Amiterno, L’Aquila, 1954; vive a Roma) ha pensato i lavori per i 700 mq
di capannone dello spazio project di Giorgio Persano è “
smaterializzare,
dare leggerezza alla forma”. In
pratica, un’opera dedicata all’alfabeto e realizzata con ventun lastre di
piombo, poste l’una sull’altra in verticale, a raggiungere sei metri d’altezza.
Mentre al centro della sala campeggia la grande installazione in acciaio corten
traforato, lunga dodici metri.
Qui le risonanze possibili con alcuni dei piĂą celebri lavori di
Richard
Serra si fermano al gigantismo,
all’imponenza di un’onda metallica ossidata, che però in Nunzio diventa
trasparente, accogliendo una foratura quasi decorativa, assorbendo e
rilasciando la luce che attraversa l’opera e rendendola una cortina
“confessionale”, un elemento relazionale posto tra i visitatori che
s’intravedono attorno all’opera.
La durezza della materia è attutita dunque dalla conversazione con la luce.
Conversazione che prosegue sulle pareti di fronte, ove campeggia una serie di
grandi lavori su carta ispirati proprio alla luce che cade dai finestroni
dell’hangar. Sono ripercorse le loro scie ideali e umbratili, come a voler
cogliere il fantasma, il negativo di raggi non visibili direttamente, ma intuibili
se ci si dota di un’immaginazione a metà strada fra la scienza e la magia, tra
la definizione
minimal di
un’azione primaria da parte della materia allo stato puro e una suggestione
dovuta alla consapevolezza che, proprio a fondamento della “fisica delle
particelle”, soggiace un universo magico, sorprendente e paradossalmente
soprannaturale.
Con Nunzio, così come con altri artisti della sua generazione, questa
consapevolezza scientifica della materia si traduce in un fare arte che
trasforma la materia in forma, o meglio inverte i ruoli, dando alla prima un
nuovo significato e un ruolo da protagonista, ponendo la forma su un piano
subordinato rispetto alle sue istanze.
Se il legno serviva agli scultori medievali come conduttore, quasi inerte, di
un messaggio formale e simbolico che assorbiva la maggior parte del senso
dell’opera, con Nunzio è il legno stesso – e in questo caso il piombo,
l’acciaio e la luce – a diventare protagonista in quanto materia, elemento
portante delle istanze semiotiche di una forma che agisce in modo ritirato e
sottotraccia, al fine di condurre nella materia l’organizzazione di una
“lingua” propria, con un proprio alfabeto e una grammatica che l’arte dei
decenni precedenti, dall’Arte Povera alla Land Art, ha indagato con intensità .
Così il piombo del grande pannello con cui si conclude la mostra può apparire
morbido tessuto, grazie a una ridefinizione degli equilibri tra la materia
“dipinta” con solventi e la forma “scolpita” secondo le regole del calco. A
introdurre nella zona franca del metallo la memoria di un’accoglienza, di
incontri e scontri che hanno in sé il sentore del laboratorio e l’afflato
dell’officina.