La ghiaia colorata è usata come morbida tempera. Essa è stesa sul pavimento-tela di una stanza, dalla mano-pennello dell’artista.
Filippo di Sambuy trasforma, così, il materiale grezzo e d’uso comune, rendendolo parte di una creazione artistica portatrice di un messaggio.
Il puzzle di sassolini effigia una stretta di mano, forte, decisa e al contempo effimera, poiché solo un gesto po’ nuovamente trasformarla…
L’installazione che ricopre l’intero pavimento, è la riproduzione di uno stemma nobiliare.
E proprio di stemmi si parla in quest’esposizione dell’artista torinese, che dopo il successo di “Annunzio”, mostra d’arte contemporanea tenutasi alla Palazzina di Caccia di Stupinigi lo scorso settembre 2001, presenta in casa Carbone i disegni e i quadri preparatori per le bandiere esposte allora.
Gli ambienti sono rallegrati dai colori più vivi: il giallo ocra, il blu cobalto, il rosso sangue e l’argento luminoso.
Tante icone simboliche, autonome da qualsiasi riferimento precedente e originario ma che inevitabilmente evocano al visitatore un’epoca remota di dame e cavalieri. Un momento storico luminoso che, nelle sale della galleria, riaffiora nelle sfumature e nei particolari degli schizzi di Sambuy, dai quali emergono, a volte, aquile in volo.
La storia è, qui utilizzata per parlare al presente. I simboli riportano alle origini, all’ordine, all’identificazione in un gruppo. Un segno d’appartenenza importante che, in questo senso, non riguarda più solo una ristretta cerchia di eruditi o aristocratici, ma si deve cogliere nel suo significato più ampio; nel tentativo di una ridefinizione della città, in primis dal punto di vista culturale.
“Quando si smonterà la mostra sarà solo più la mostra memoria a ricordare questa ghiaia (…) Ognuno di noi diventerà così un pezzo d’icona di ciò che era un’opera d’arte o forse solo un decoro ai nostri pensieri, una virgola colorata. Chi può dirlo?”
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Federica De Maria
mostra visitata il 22 gennaio 2002
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