La mostra curata da Roberto Pinto prende piede dalle teorie di Zygmunt Bauman che descrive la realtà contemporanea utilizzando la metafora della liquidità, conditio sine qua non per vivere al passo con i tempi. Infatti nell’era in cui il termine globalizzazione rimbomba indistintamente in ambito politico, culturale e soprattutto economico, la società spinge ad essere flessibili, per così dire, liquidi, come sono i presupposti su cui essa stessa si regge.
Pare che sia però l’incertezza, di cui scrive anche il sociologo (Società dell’incertezza, 1999), l’unico stato d’animo causato da questa pressione incalzante e generalizzabile a tutte le latitudini. Questa comune condizione esistenziale è determinata dalla tensione tra libertà di scelta e spaesamento dovuto alla perdita di riferimenti culturali ed etici stabili.
Se realmente “L’uomo è un fascio di legami” (per dirla con Antoine De Saint-Exupéry), incapace di vivere un’esistenza appagante, se non stringendo relazioni con gli altri, molti artisti contemporanei si sono fatti portavoce di questa lezione, incentrando il loro lavoro su una riflessione aperta alla partecipazione e alla collaborazione, pratica artistica oggi tanto in voga.
All’autismo e al solipsismo, malattie della condizione postmodern, dovute appunto all’indebolimento dell’identità, i creativi rispondono dando spazio alle coscienze individuali per creare territori dove i racconti-opere del singolo diventano luoghi di contatto con gli spettatori o “nuove agorà”, come li definisce Roberto Pinto.
In mostra è allestita un’installazione di Lucy Orta (Uk, 1966), artista da sempre impegnata su tematiche politico-sociali, visibile anche dall’esterno attraverso le vetrine della galleria. Sono esposte in fila delle divise militari, che appaiono in tutta la loro insignificanza e impotenza, venendo a mancare la presenza dei soldati che normalmente le indossano. Un video che documenta una performance dove uomini e donne vestiti con bizzarre tute sono legati l’un l’altro da strutture “ombelicali”, (la scritta nexus sul tessuto significa appunto legame), che simboleggiano l’indissolubilità dei rapporti sociali.
Eco militare anche nei lavori di Manuel Piña (L’Avana, 1958) dove un campo d’esercitazione abbandonato è immortalato in 6 fotografie e registrato nel video Stalker, remake del più celebre film di Tarkovskji. Il senso di abbandono e di decadenza lasciano spazio ad una soffusa speranza, dettata dal silenzio e dalla pacifica natura circostante che riprende possesso dei suoi spazi.
Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla (Philadelphia, 1974 & L’Avana, 1972), premio della Giuria alla Biennale di Gwangju, presentano una videoinstallazione dal gusto amaro e gioioso: un motociclista scorrazza per la verdeggiante isola di Vieques, ex sede militare statunitense. Una tromba è stata inserita nella marmitta del mezzo, cosicché il suo suono acuto e penetrante si sovrappone a quello della moto rievocando l’atmosfera di un tempo.
Maja Bajevic (Sarajevo, 1967), bosniaca di nascita, ma francese d’adozione, presenta una serie di fotografie dove il senso di precarietà e d’incertezza viene rappresentato dagli scorci di costruzioni non ultimate, forse per mancanza di denaro, forse perché appena ricostruite sulle macerie di altre. Eppure i segni della festa, le classiche luci natalizie, s’inerpicano sui brulli cornicioni e negli spogli porticati a testimoniare la volontà di non voler soccombere, come dei virgulti in mezzo al deserto. Suscettibile di diverse letture emotive è l’installazione dell’ultima sala: sotto vetro ci sono dei capelli arruffati, due pacchetti di sigarette e del filo spinato ricoperto di lana. Tutto dal sapore drammatico e vagamente irritante.
monica trigona
mostra visitata il 24 febbraio 2005
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