Compie un anno l’attività espositiva della Galleria Franco Noero in via Santa Giulia.
Arturo Herrera (Caracas 1959, vive a Berlino), alla sua seconda personale torinese, celebra il primo anniversario della sede espositiva più originale d’Italia (e forse non solo): la Fetta di Polenta.
Tra lo storico edificio di
Antonelli e le altre due vetrine espositive sulla stessa via, Herrera porta 23 opere accomunate dalla passione per l’astrazione e i collage. Si comincia con
Retrato de Artista/TN, un’opera divisa in tre grandi tavole che raffigura un anziano signore mentre pesca. La silhouette fumettistica del personaggio è ritagliata nella carta, quasi come nella preparazione di uno stencil da street art, e il filo della canna da pesca passa dal realismo fino a perdersi in evoluzioni astratte. In realtà , è vero il contrario: leggendo l’opera nell’ordine di esposizione, si passa dall’astrazione alla descrizione. Cosa che succede anche in
Chest, un mix di ritaglio, collage e tecnica mista su carta, che a una prima occhiata sembra un intricato groviglio di segni casuali, ma che osservata piĂą attentamente svela dettagli realistici nascosti.
Questo fitto gioco di linee ricorda i lavori di due celebri pittori americani del Novecento:
Bradley Walker Tomlin e
Mark Tobey. Nelle loro opere, segni di natura calligrafica frustravano la voglia dei visitatori di decifrare ciò che credevano essere scrittura. In Herrera, esclusa la natura linguistica del tratto, il gioco di linee porta, non senza sforzo dello spettatore, a una certa unità di fondo. Questo tentativo di ordinare il caos, o almeno di trovare una ragione al disordine, ha come innesco la curiosità . Un sentimento che viene in particolar modo stimolato dai collage, il corpo principale della mostra, ben 15 opere su 23. Mixano frammenti di vario tipo: da monografie su
Giorgione a libri sul funzionamento delle televisioni, da vocabolari a cataloghi di bagni.
Viene da chiedersi se la stratificazione di questi elementi sia casuale, quasi un gioco puerile, o se segua invece una precisa volontà artistica. Ma questa domanda è di seconda importanza rispetto al chiedersi cosa siano questi frammenti.
Come per
Kurt Schwitters, sono brandelli di vita. Nella serie di Herrera
Theodor, Richard, Hein viene riflesso il trasferimento dell’artista da New York a Berlino. Le tre opere sono infatti composte da ritagli di manuali tedeschi su varie discipline, che sarebbero stati introvabili in America. La serie
West affianca, invece, immagini di icone sacre ad altre di cani e a frammenti di libri con il testo cancellato, forse a indizio di una personale lettura delle religione.
Chiudono la mostra le tre opere di
Grey Collage, esposte nella vetrina di piazza Santa Giulia. Grandi stampe che racchiudono una delle innumerevoli anime della mostra: il Pop. Sono immagini prese da libri di taglio e cucito e ingrandite fino a mostrare, in maniera quasi scultorea, il retino tipografico, quei
Benday Dots tipici delle opere di
Roy Lichtenstein, e mostrano il fascino misterioso dei dettagli.