Si chiude il ciclo della Sirena incantata al neon, rassegna che ha visto succedersi negli spazi della galleria Dieffe i lavori di Saverio Todaro, Giulia Caira e infine Gea Casolaro. Partendo dal titolo cerchiamo di capire cosa accomuna i tre progetti presentati. La sirena è creatura visionaria per antonomasia, frutto delle incantevoli fantasticherie umane, archetipo d’ispirazione poetica. Il neon rappresenta, invece, la seduzione sintetica dei nostri giorni ma anche il disincanto e il controllo. La riflessione in corso parte, quindi, dal presupposto che i sogni-sirene si stiano placando dinnanzi all’effetto ipnotico del neon, restituendoci alienati e incapaci di “cantare” liberamente. I tre artisti selezionati rispondono all’accorato appello della curatrice, “liberiamo le sirene, spegniamo i neon”, attraverso linguaggi diversi che, però, mettono a nudo uno stesso disagio tutto contemporaneo.
L’ultimo capitolo di questo percorso è rappresentato dal lavoro della romana Gea Casolaro. Entrando nel monospazio opalescente di questa zona radical-chic della Torino storica, lo sguardo è catturato dalla parete di destra, dove un video di pochi minuti si ripete in loop. Il violento break spaziale indubbiamente avvertito dal visitatore e la frescura del locale invitano a sedersi di fronte alla proiezione.
Il ritmo scostante e gli stacchi continui ne rivelano presto la natura illusoria: non si tratta di un filmato girato con telecamera, ma di un montaggio fotografico. Si susseguono frame rubati alla vita comune, anche se non è facile capire subito di quali luoghi si tratti. Potrebbe trattarsi di qualunque realtà metropolitana, considerato che le grandi città e le loro periferie vanno sempre più assomigliandosi. Cartelloni pubblicitari, loghi internazionalmente riconoscibili, come quello della Coca Cola o del Mc Donald’s, e segni standardizzati, come quelli stradali, fanno capolino sui palazzi e per le strade.
In questa bagarre di ibridazioni culturali si scorgono però fisionomie facciali e caratteri alfabetici differenti, che ci rivelano inaspettatamente le distanze geografiche che intercorrono tra i paesaggi immortalati.
L’artista ha scomposto la quotidianità vissuta tra le strade cinesi e argentine in miriadi di appunti visivi così simili da diventare un film omogeneo. Ecco quindi un’Argentina che pare tanto lontana da quella che nei primi anni ‘80 aveva conosciuto il fenomeno delle Madres de la Plaza de Mayo, le donne che manifestavano con coraggio la loro indignazione per le sparizioni dei figli e dei mariti, un’Argentina per nulla diversa dalle grandi metropoli occidentali nonostante i conflitti economici e la corruzione governativa della classe politica.
E dall’altra parte la Cina di oggi, che corre ottimista verso un’occidentalizzazione a 360° e il cui unico obiettivo negli ultimi anni pare essere diventato il consumo indiscriminato. Alcuni scatti fotografici, mutuati dalla proiezione, sono appesi ad una parete, immobili e sospesi come tableau vivant che celano storie di ordinaria globalizzazione.
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monica trigona
mostra visitata il 5 luglio 2005
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Incredibile che tu legga certi giornali.L'arte è forse la tua copertura intellettuale?Mah...
incredibile come tu passi con nonchalance dai giornali di gossip a quelli d'arte.eddire che sei divina...mah...