Due artiste, due fotografe, due donne di indiscussa sensibilità si scambiano le loro rispettive esperienze in una mostra che troppo semplicemente potrebbe essere risolta con un immediato giudizio di natura estetica. Lo stesso Sergio Risaliti, nel suo approfondito testo critico, ribadisce che le immagini proposte sono di rara bellezza. Una bellezza di complessa interpretazione e, soprattutto, di diversa natura.
Per osservare le fotografie di De Pietri occorre attraversare la sala che ospita il lavoro di
Lala Meredith-Vula (Sarajevo, 1966; vive a Londra). È un passaggio faticoso. Meredith-Vula, albanese da parte di padre, vive in Inghilterra da sempre. È tornata nell’ex Jugoslavia e si potrebbe immaginare che abbia voluto documentare la storia di un Paese diviso; invece, con fatica si distoglie lo sguardo dalle grandi fotografie che trascinano il visitatore in un sogno di grandezza eterna. I suoi paesaggi non sono la realtà; sono caratterizzati da una forma d’incanto, che si tratti di una casa diroccata in Kosovo o di un moderno edificio dalle curvilinee forme.
Per questo il passaggio nella sala di
Paola De Pietri (Reggio Emilia, 1960) risulta doloroso. Perché è scientifica nella sua rappresentazione del reale, analitica e precisa, ricordando la professionalità con cui un medico si accosta al paziente: non è privo di pietà ma ha imparato che dev’essere distaccato, forte e obiettivo. Non è neppure una scelta, diventa una necessità la giusta distanza, un protocollo a cui ricorrere per non rimanere avvinghiati nel dolore che comunque esiste nell’esistenza dell’altro.
Il lavoro di De Pietri è sistematico: si può ritrovare la stessa inquadratura, le stesse fughe che indicano la via, la stessa capacità di strutturare le figure nel paesaggio alla distanza sufficiente per distinguerle, ma non abbastanza per cogliere l’intimità dello sguardo. I protagonisti della ricerca sono al centro dell’immagine ma è come se stessero viaggiando, perché
la nuova casa è comunque transitoria, perché il loro spirito è altrove rispetto al contesto. La natura è importante per l’artista; solo essa è universale e può dialogare con l’uomo; lo spettatore deve rimanere tale e non può entrare nell’interiorità di chi viene indagato, uomini e donne che si spostano e poi si fermano, assolutamente veri per Paola De Pietri.
Lala Meredith-Vula invece ha deciso di indossare un costume e di donare un altro tempo ai luoghi. Nella ricerca del suo personale tempo perduto decide di “santificarli” con la propria presenza, una definizione provocatoria ma funzionale al significato. Il risultato è un virtuosismo del bianco e nero che utilizza la luce in modo pittorico, un’inquadratura filtrata attraverso lo sguardo di chi dona maestosità a poveri interni e confini senza limiti ai paesaggi.
La raccolta dei cachi in Albania, da gesto tradizionale diventa quasi fatato, in un’atmosfera preziosa da dipinto secentesco,
un altro tempo, altro da me, come enuncia il titolo, e come si evidenzia nell’immagine dell’artista che osserva un disadorno e triste spazio in Inghilterra: un altro mondo rispetto ai luoghi magici che ha sognato nella sua terra natia.
Visualizza commenti
Recensione pulita, scorrevole e, rispetto alla mostra, soprattutto "partecipata". Sembra di ripercorrere le sale della galleria con le medesime sensazioni. complimenti b.r.