Domandina
oziosa: potrebbe Davide Le Grazie (Torino, 1972) scalare l’Olimpo dei “giovani” aureolati,
quelli che mietono premi e mostre in fondazioni potenti, e magari s’arrampicano
su su fino a qualche bi-triennale? Di primo acchito – e nonostante un paio di
buoni piazzamenti in curriculum – la risposta sarebbe un sonoro: no.E
non tanto per oggettive ragioni anagrafiche, quanto perché la sua pittura è
troppo “pittura”, troppo devota alla perfezione della resa. Calligrafia
snobbata dai palati trendy. Per giunta, l’artista non ha avuto la prontezza di
indossare la casacca del Pop Surrealism o del Low Brow, altrimenti sarebbe
stato promosso in una categoria più up-to-date di quella dei “nuovi pittori
della realtà” (ma perché bisogna per forza dare del “nuovo” anche
all’intramontabile?), così acrimoniosamente bypassati dalla critica di sistema.Ad
ogni modo, l’interrogativo resta comodamente a disposizione del pubblico, tale
e quale ai Layers-livelli
proposti da questa personale che, nella Torino austeramente minimal-poverista-concettual-sandrettiana,
stupisce alquanto col suo carnevale di colori accesi.Quadri
che sembrano fatti al computer, tanto impercettibili sono le imperfezioni della
simmetria, ma dove nessun mouse ha messo lo zampino: oli su tela dagli sfondi
rossi, verdi, azzurri, o “imbarocchiti” dal nero. Barocca è pure l’icona
onnipresente, lo stemma, accompagnata da fregi, arabeschi e svolazzi vari che
inseguono la metamorfosi, ora radicandosi in vasi sanguigni, ora ramificandosi
nelle corna di un cervo.
E
kitsch, dunque “barocco”, è uno stile che in campo aperto semina a distanza
cigni e modelle di raggelante bellezza, scritte a caratteri gotici e motti
mistici, corone rutilanti e bucrani da memento mori, infine toglie muffa all’araldica
tirando a lucido un cuore fiammante (lo stesso che altrove pare essere scappato
dai polpastrelli di un dolce Gesù parrocchiale) e piazzandolo sul muso di
un’auto di lusso. Noblesse oblige, sempre.Cavaliere
del sacro e del profano, Le Grazie si diverte a compiere scorribande
nell’iconografia tradizionale e nel suo emblematico zoo: l’ariete del Sacrificio d’Isacco caravaggesco, il cervo del
Sant’Eustachio di
Dürer.
Ma,
se il pennello si fa notare per tecnica, un po’ più scolastiche paiono le
installazioni: ancora trofei di teschi e, in mezzo a un fascio di rami, il
poliedro di Melencholia I, tra le opere più stratificate in quanto a
interpretazioni dell’intera storia dell’arte. Layers d’altri tempi… articoli
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dal 6 maggio al 17 luglio 2010
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a
cura di Monica Trigona
Marena
Rooms Gallery
Via dei Mille,
38 (Borgo Nuovo) – 10123 Torino
Orario: da
martedì a venerdì ore 15.30-19.30; sabato ore 10-13 e 14.30-19.30
Ingresso
libero
Catalogo
disponibile
Info:
tel. +39 0118128101; fax +39 01119503904; info@marenaroomsgallery.com; www.marenaroomsgallery.com
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