Impregnato di minimalismo, rielaborazione in chiave contemporanea della pittura non rappresentativa, basato sull’essenzialità cromatica, il lavoro di
Jan Dibbets (Weert, 1941; vive ad Amsterdam), nella sede “decentrata” della galleria di Giorgio Persano, rappresenta un significativo esempio di conciliazione fra geometrismo spaziale e arte concettuale. Dibbets ricorre all’uso comparato di pittura e fotografia sin dagli esordi. Ma entrambi i mezzi espressivi fungono da vettori nell’elaborazione di concetti spaziali basati sulla correzione prospettica, espediente su cui si impernia, a sua volta, la differenza tra la realtà fotografica e l’illusione pittorica.
Della grande sala espositiva, un capannone scarno di arredamento, illuminato dall’alto per mezzo di finestroni a botte, sono solo le pareti a essere impegnate. Muri bianchi su cui si stagliano figure geometriche irregolari in rosso, giallo, verde e blu, ognuna sovrastata da un quadrato che ne richiama il colore, come un sorta di
palette cromatica che riequilibra l’irregolarità dei poligoni, ricongiungendola nell’equilibrio formale del quadrato.
Perché alla fine l’intento è proprio quello, svelare come nell’apparente sregolatezza delle cose si possa celare il giusto punto di vista, quello attraverso cui la realtà si ridona ordinata e rigorosa.
Ebbene, l’esempio che Dibbets propone con questo lavoro non si limita a dare la percezione dell’esistenza di questo punto di vista -il che appare a effetto immediato, entrando nella sala- ma lo fornisce poi immortalato nelle fotografie sulla parete di fronte. Ogni foto riproduce quindi una delle figure sfalsate, fotografata col taglio prospettico che la rende, come per magia, simmetrica. Ed è talmente aberrante che, a prima vista, sembrerebbe il risultato di una giustapposizione, di un ritocco fotografico.
Forse in questo bisogno di restituire alle cose un valore univoco di equilibrio, in un’epoca dominata da grandi confusioni, il ricorso alla geometria assolve perfettamente alla funzione. E se proviamo a immaginare come esoterico il potere della vista e a considerare l’artista come uno sciamano che c’inizia ai segreti dell’intangibile, potremo metterci alla ricerca dell’ottica giusta. Quella in cui è sano guardare alle cose, quella che nell’esperienza di vita di tutti noi a volte sfugge, inducendoci a rinnegare la capacità di spostamento dei nostri stessi limiti.