Partendo dall’assunto che “non c’è nulla di più sorprendente della banalità e il surreale si trova nelle nostre conversazioni quotidiane” la curatrice Irina Zucca Alessandrelli ha voluto esplorare -attraverso i lavori degli artisti in mostra- il risvolto misterioso e assurdo che si nasconde aldilà del reale.
I video di Kate Gilmore si presentano come micronarrazioni dal carattere compulsivo e mostrano diversi personaggi -interpretati dall’artista stessa- in un’estenuante lotta contro un ambiente ostile. Non manca una forte componente ironica, che tuttavia non toglie nulla al senso di angoscia esistenziale comunicato dal messaggio di fondo. D’altronde, come affermava Charlie Chaplin, la commedia non è altro che la tragedia vista col binocolo. La Gilmore, in occasione dell’opening della mostra, ha anche presentato una performance, il cui residuato artistico è costituito da una montagna di suppellettili fatte a pezzi. Tratto comune dei lavori dell’artista -che ha partecipato alla collettiva Greater new York al PS1 di New York nel 2005- è la rappresentazione di un’epica della quotidianità, laddove assistiamo alla lotta dell’individuo nell’atto di fare prevalere i propri disegni contro una realtà ostinatamente irrazionale.
L’artista pakistano Ryan Johnson –anche lui presente alla grande collettiva del PS1- vive e lavora a New York, dove si è diplomato alla Columbia University. Le sue figure a dimensioni reali, realizzate con “bende” di tela dipinta, sono sculture con una forte componente pittorica; personaggi in abito formale da lavoro emergono dalle due dimensioni –evocative di un’esistenza piatta e costrittiva- ma le forme fragili che li compongono sembra che debbano riafflosciarsi su se stesse da un momento all’altro.
Leggerezza e inquietudine caratterizzano anche le sculture di Rachel Owens.
Nello spazio al piano interrato della galleria l’artista presenta un’installazione con sculture di cartone raffiguranti cani feriti e mutilati intorno ad un falò e diverse bottiglie molotov. Un SOS in codice Morse riecheggia nell’ambiente, immerso nella semioscurità. Avvicinandosi si può notare che sul cartone che compone le sculture –raffiguranti i cani bomba utilizzati per compiere attacchi terroristici- sono ancora visibili i marchi di alcune importanti aziende automobilistiche torinesi.
Il taiwanese Kuang-Yu Tsui espone una serie di video che documentano performance da lui registrate, che hanno la metropoli come scenario di azioni volte a sovvertire le convenzioni sociali, i codici comportamentali predeterminati. Così lo vediamo giocare a bowling usando dei piccioni come birilli o utilizzare un parco cittadino come campo da golf. L’artista indaga anche i concetti di identità e di ruolo, considerati nella loro natura effimera e fluttuante, nel contesto della società globalizzata o di una nazione isolata dal contesto internazionale come Taiwan. Altro elemento che ricorre nel suo lavoro è quello degli scarti della società dei consumi: in uno dei suoi video il protagonista salta pericolosamente da una parte all’altra di uno spazio delimitato da una riga bianca, nell’intento di schivare vari rottami che si abbattono pesantemente al suolo.
luca vona
mostra visitata il 19 gennaio 2006
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