Li puoi trovare in qualunque punto del mondo occidentale. La musica è il loro fattore di riconoscimento: rock, grunge e soprattutto metal, nelle sue mille sfumature, dall’hard al death. Guys è un grande collage di immagini di questi ragazzi e dei loro idoli musicali, gli sguardi aggressivi dietro i capelli lunghi, abiti e borchie nere, in un’affermazione di identità e di differenza. È il mondo che mette in scena l’artista canadese Steven Shearer, attraverso il collage digitale, la pittura, e una doppia parete nera da mal di testa, ricoperta di grosse parole in bianco che si susseguono senza soluzione di continuità. Sono i termini più amati dagli autori di questo genere musicale: una tale sequela di vomito, morte, sangue e diavoli. Il risultato fa sorridere e non produce alcun senso: Poem è un collage di parole anziché di immagini, pezzi di testi di canzoni uniti assieme a formare una specie di imprecazione, con tutta l’aggressività che il metal vuole esprimere. Anche i disegni e i dipinti in mostra rappresentano figure e personaggi della scena musicale, in un omaggio alla propria cultura giovanile, come un adulto che rimetta piede nella stanza di quando andava alle superiori: le foto dei cantanti mischiate a quelle degli amici, i secondi che cercano di assomigliare ai primi, l’orgogliosa e ostentata scorrettezza dei testi delle canzoni che si ascoltano a volume sempre un po’ troppo alto. E Shearer non nasconde di essere stato uno di quegli adolescenti, tanto da aver inserito una sua foto da ragazzo, attorniato dalla propria collezione di chitarre elettriche, in un collage della serie Guitar.
Steven Shearer, nato in Canada del 1968, alla sua seconda personale da Franco Noero, accumula in modo quasi ossessivo centinaia di file digitali derivanti dalle sue ricerche iconografiche, che poi entrano a far parte delle sue opere, come ad esempio la minuziosa osservazione delle aste di memorabilia heavy metal su eBay. Molti dei suoi lavori ruotano intorno alla subcultura giovanile e al metal, da lui considerato alla stregua di una “proletarian folk art” verso cui mostra l’atteggiamento benevolmente ironico di chi da ragazzo era un fan, probabilmente con meno ironia di adesso.
paola sereno
mostra visitata il 24 febbraio 2006
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