L’arte di
Diana Baylon (Bevagna, 1920) sorprende per l’
aura che ne emerge, in grado di estasiare attraverso armoniose forme geometriche, impreziosite dalla rifrazione della luce. Un’artista eclettica, che sperimenta materiali differenti, tramutandoli in opere d’arte e oggetti di design. La mostra che le dedica il Miaao permette di coglierne l’ampio corpus produttivo e di ripercorrerne i tratti salienti della biografia.
Alcune immagini la ritraggono bambina, insieme al padre, l’aviatore Dante Pagnotta, da cui eredita la passione per il volo. Un modello di vita, l’Edipo, così lo definisce l’artista, irrinunciabile, che è stato l’esempio cercato nella scelta del partner. Nel 1940 sposa Pier Nicola Ricci, un uomo che si rivela lontano dall’immagine paterna, che le aveva ispirato ideali di bellezza, coraggio e generosità. Così, nel 1946 si separa, dando scandalo nell’Italia del tempo. L’anno successivo, l’incontro con Giuseppe Baylon muta positivamente la sua esistenza.
Diana si avvicina all’arte da autodidatta, inizialmente in chiave figurativa.
Paesaggio di mare è un’opera di questo primo periodo, in cui emergono elementi
fauviste. Ma è la produzione degli anni ’60-‘80 a rappresentare al meglio la sua notevole fioritura artistica, caratterizzata da un netto passaggio all’astrattismo.
In questo quadro, gli oggetti di design di Baylon assurgono allo statuto di autentiche opere d’arte. In
Volo, un tappeto realizzato in lana, il disegno sembra librarsi alla stregua delle tenui pennellate di un quadro. Non è certo stato facile, per questa donna indipendente, affermarsi nella società maschilista dell’epoca, che deteneva il monopolio dell’arte. Così, districandosi fra il ruolo di moglie-madre e quello di artista, emerge una inesauribile energia.
Dopo una prima fase, l’arte di Baylon è influenzata dalle esperienze delle avanguardie e dal futurismo in particolare. Alla fine degli anni ‘60 si consolida tuttavia l’amicizia con
Lucio Fontana e, grazie a questo rapporto, nasce la sperimentazione con nuovi materiali. L’alluminio si lascia compenetrare dalla geometria e attraversare da campiture di luce. Una grammatica della creazione in cui la rifrazione crea movimenti intimi, complessi. Cromatismi che mutano con l’intensificarsi o il diffondersi della luce, a sottendere lo scorrere del tempo. Figure che incarnano il moto, lo slancio nell’etere. Il fulcro è costituito dalla tematica del volo, fisico e spirituale. Negli anni ’70, Baylon si dedica alla progettazione di mirabili gioielli, in cui permane il dinamismo intrinseco e la vitale geometria.
Il decennio successivo è caratterizzato da una ulteriore metamorfosi. Il plexiglas diventa la materia con cui plasmare forme capaci di racchiudere essenze. Anche i materiali più poveri acquistano duttilità e forma: in
Autoritratto, strisce di carta danzano lievi, impreziosite da una fitta scrittura. Segno vitale di un passaggio nel mondo.
Pur attraversando periodi assai differenti tra loro, permane evidente un fil rouge: Diana Baylon è un’artista che insegue la materia. Come dichiara lei stessa, “
ogni giorno la materia mi maltratta, lei è molto lenta e io sono molto veloce”.