Il 12 febbraio avrebbe dovuto aprire i battenti la mostra
Le ali di dio di
Adel Abdessemed (Costantina, 1971; vive a New York). Ma l’inaugurazione è stata rinviata a data da definirsi. Il motivo? Le pressioni di alcune associazioni animaliste.
Casus belli è
Don’t trust me, un video che mostra l’uccisione di alcuni animali in un macello messicano e che lo scorso anno, a San Francisco, portò a minacce di morte. Le intimidazioni torinesi sono state, fortunatamente, ben più tiepide (si parlava di gavettoni di vernice) e sembrano esser giunte da una piccola associazione in cerca di attenzioni mediatiche.
Lasciate da parte le polemiche, occupiamoci della mostra, a partire dall’opera “incriminata”. Sei monitor mandano in loop alcuni secondi della morte di altrettanti animali. Al riguardo, l’artista dice: “
In Tv, dai bombardamenti su Gaza alla guerra in Iraq, vediamo quantità impressionanti di brutalità. Trovo sia ingenuo che ci si scandalizzi per questo lavoro”. Francesco Bonami, curatore della mostra e direttore artistico della Fondazione, gli fa eco: “
L’arte non è solo intrattenimento, ma anche denuncia. Qui non c’è gratuità, né morbosità”.
Questo modo scarno e diretto di rappresentare la violenza ha spesso appiccicato sulle spalle dell’artista l’etichetta di terrorista. La stessa accusa che Abdessemed ricorda essere appartenuta a
Malevic e che nel video
Hot blood è fatta cantare da un clown schizofrenico, che intona “
I am a terrorist, you are, you I, am I am I a terrorist?”.
Altri due temi fondamentali nell’opera dell’artista franco-algerino sono l’integrazione e la religione. L’integrazione intesa come sradicamento è il fulcro di una serie di fotografie in cui è immortalato lo straniamento di animali selvatici (tra cui un leone e un serpente) portati dal Nord Africa e liberati in centro a Parigi. Mentre in
Practice Zero Tolerance la carcassa in terracotta di un’auto carbonizzata è il simbolo della negazione dell’integrazione che ha portato alle rivolte nelle
banlieu francesi nel 2006.
La religione è il perno di altre due opere:
One life one love one god e
Also sprach Allah. Il primo lavoro è una scritta al neon appesa al soffitto, quasi un monito sceso dal cielo ad annunciare un comandamento o una condanna.
Also sprach Allah gioca con Nietzsche e segna la riflessione sul ruolo della religione come vincolo alla libertà individuale. Abdessemed dichiara: “
Le religioni sono favole che avvelenano le nostre vite. Dio ha bruciato le proprie ali”. Non è quindi una forza metafisica, bensì un elicottero a sostenere a un metro da terra le persone con handicap fisici che nei due video
Les ailes de dieu disegnano in condizioni precarie.
Chiude la mostra
Usine, un video in cui animali di specie diverse (cani, galli, serpenti, rane, topi, scorpioni, ragni) sono costretti in uno spazio angusto in cui finiscono inevitabilmente per scontrarsi. Quasi due minuti di violenza, a tratti insostenibile. Il 12 febbraio, proprio nel duecentesimo anniversario della nascita di Darwin, qualcuno avrebbe dovuto ricordare all’artista un concetto molto forte in natura: l’habitat.
Ma, forse, il video è solo una fosca metafora del rapporto tra gli uomini. Che richiama alla mente, in modo estremo, le parole del filosofo tedesco Peter Sloterdijk: “
Siamo anche noi esseri in allevamento”.
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serietà per favore....exibart almeno voi non fate i giochi sporchi di questi politici. non recensitele nemmeno queste mostre. è una mostra vergognosa, indegna nel nome dell'arte.
vergognoso. senza parole.
Questa volta nulla da dire contro l'articolo. Anzi... ricordo ancora i volantini degli animalisti nella giusta battaglia contro la vivisezione. Foto di animali sottoposti a terribili abusi e trapianti elettrici. Perchè nel nostro pesente se non vedi non credi! Niente ha più successo del dolore degli altri.
Per favore, anche se fosse vero (come sostiene l'artista) che la violenza è ormai su tutti i canali della tv e che la viviamo nella quotidianità di ogni giorno, penso che non esista nessuna logicità nel rappresentarla in questi modi. Se siamo uomini, cerchiamo di ragionare da tali e non da animali, che si sono sempre comportati meglio di noi; hanno sempre solo subito la violenza del "uomo" e meriterebbero solo di essere trattati da esseri viventi, o di essere lasciati in pace. Ho sempre amato l'arte .. in tutte le sue più svariate forme, ma penso ci vada coraggio anche solo a sostenere che questa sia arte. Ho solo una parola per le associazioni che sostengono queste mostre e/o iniziative: vergognatevi e provate a pensare seriamente cosa state facendo e sostenendo.
Come tempestivamente comunicato con una speednews, la mostra ha aperto il 5 marzo, mentre la data di chiusura rimane invariata
è veramente dura rendersi conto della realtà..
vedere immagini forti fa molto male, viene il voltastomaco, ma abel non fa altro che rappresentare, PURTROPPO, il nostro mondo. questo mondo è pieno zeppo di soprusi e violenze, sulle persone e sugli animali, perchè nasconderle? perchè far finta di niente? se vediamo quello che succede, se abbiamo in mente le immagini, viene solo una grande voglia di cambiare..
un cronista, nulla più