L’arte di
Armida Gandini (Brescia, 1968) è caratterizzata dall’interazione col pubblico, chiamato in causa come parte dell’opera. La galleria diventa la scena in cui è rappresentato il gioco di una bambina, in uno spazio neutro e indefinito, interrotto da ostacoli insormontabili, che si erigono imponenti.
Nel video, la piccola protagonista cerca di superare reti, barriere e muri, muovendosi a passi ritmati, che ricordano una danza. In un luogo privo di materia, poco a poco compaiono elementi contrastanti. In alcune sequenze, squarci neri acquisiscono corposità, impedendo alla bambina di saltare oltre; per farlo deve utilizzare gli strumenti a sua disposizione: sgabelli, sedie, scale, mentre l’impedimento acquisisce materia, fino a diventare insormontabile.
In altri frame, una grande rete invade gli spazi e l’attività ludica si riduce al passare sotto le poche maglie che lasciano respiro. Pareti e lamiere occludono la vista, talvolta sovrapponendosi o socchiudendosi, come in un labirinto. La bimba bionda, che pare rievocare il personaggio di Alice di Lewis Carroll, cerca in ogni modo di aggirare l’ostacolo; si siede, pensa, talvolta amareggiata. Il suo sguardo, intenso e ingenuo al tempo stesso, ripreso in primo piano, sembra angosciato. Ma, nonostante tutto, il messaggio veicolato dalla forza delle immagini è la tenacia, la stessa che appare nelle parole scritte come fossero gridate: “
Io dico che ci posso provare”.
La mostra si apre con un’installazione in cui compaiono gli strumenti utilizzati dall’interprete del video. Ma si tratta di attrezzi monchi, inservibili: della scala non resta che lo scheletro, lo sgabello è mozzato, la sedia è una struttura in ferro, priva di seduta e schienale. L’osservatore rimane disorientato, cerca le opere e, salvo alcuni disegni, non intravede altro che una parete spoglia che si erige sul fondo.
L’ostacolo da virtuale diviene reale, implicandone il superamento. A nulla vale l’utilizzo di una tavola da appoggiare su una sedia; il muro è invalicabile e non consente di guardare oltre. La presenza di una fessura circolare permette tuttavia di scrutare al di là, facendo intravederle l’immagine della bambina e il suo impedimento, che oramai è divenuto tattile. Una visione ottica che, attraverso quest’escamotage, acquisisce tridimensionalità. Solo aggirando l’ostacolo, si riesce a penetrare la barriera, fisica e mentale, inesorabilmente opprimente.
Soltanto allora le opere si svelano in tutta la loro enigmatica presenza. Ma per farlo occorre ridestare la curiosità ingenua, annichilita nelle pieghe della memoria. Emblematica la frase di Goethe appena percepibile su una parete candida “
L’uomo erra finché aspira“.