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10
luglio 2009
fino al 18.VII.2009 Enzo Umbaca Torino, Franco Soffiantino
torino
Spiagge deserte e un mare simbolo di vita e dialogo fra culture. Ma anche un percorso da superare, per continuare a vivere. Poesia e denuncia sociale in un video girato su un barcone abbandonato...
Enzo Umbaca (Caulonia, Reggio Calabria, 1960; vive a Milano) affronta argomenti difficili e lavora da anni sul tema dell’identità. In passato ha cercato ai lati delle strade le persone che “provocano fastidio” al nostro sistema sociale – un Baechler italiano, insomma – e ha fatto in modo che queste lasciassero un segno anche solo su un vetro.
È forse più facile essere un artista africano in Africa che un artista calabrese in Calabria, terra d’origine di Umbaca. Il suo percorso è stato lungo e il suo spostamento a Milano proficuo. E ora compie una tappa essenziale: fa coincidere le proprie radici con il lavoro che ha delineato la sua realizzazione. È un passaggio fondamentale di riconoscimento e autorevolezza.
La magnifica terra che l’artista interroga è ai confini della povertà, isolata per storia e mentalità, maledetta per vocazione. Non discute di questo, Umbaca. Il suo sguardo è più profondo, ma nel video emergono solo poesia e leggerezza. Protagonista della proiezione in mostra è un grande barcone utilizzato dagli immigrati per raggiungere le nostre coste, che diventa parte essenziale del contesto. Affascinante quanto l’infinito dell’orizzonte, quanto la profondità del mare. E nel video si presta a divenire teatro di un sogno, di una danza virtuosa e acrobatica.
Allontanata l’immagine della morte, resta solo quella della speranza, della magia della provvidenza. Forse la stessa che dovrà ricondurre le anime spazzate via dal vento dei naufragi. Alla Calabria resta il problema di sopravvivere e di far sopravvivere. Il legno delle barche abbandonate è una risorsa preziosa: viene tagliato e riciclato. E con Umbaca si trasforma nella poesia di un’arpa ricostruita ed esposta all’ingresso della galleria, a raccontare di viaggi e dolore, di forza e coraggio.
L’arpa è lo strumento dell’incanto per eccellenza, della grazia ritrovata, della pace che i meno abbienti non possono avere. Una forte critica sociale si delinea sempre nel lavoro di Umbaca, dal quale si ricava un’acuta riflessione sulla base dei valori individuali, cercando di non attribuire responsabilità a una collettività senza volto.
Tutto questo è amplificato al piano inferiore, sotto le volte di Soffiantino, dove risuonano le parole di una straordinaria poesia di Pasolini, recitata da Toni Servillo e reperibile in Rete. Le pareti bianche diventano le pagine raffinate su cui Umbaca incide le strofe di Profezia. Che disegnano croci di lettere e raccontano dell’arrivo in Calabria di “Alì e di mille altri corpicini con occhi di cane…”.
Il messaggio è complesso, crudele, globale. Una profezia aberrante che oggi sconvolge ancor di più. Che parla del nostro presente e delle nostre paure.
È forse più facile essere un artista africano in Africa che un artista calabrese in Calabria, terra d’origine di Umbaca. Il suo percorso è stato lungo e il suo spostamento a Milano proficuo. E ora compie una tappa essenziale: fa coincidere le proprie radici con il lavoro che ha delineato la sua realizzazione. È un passaggio fondamentale di riconoscimento e autorevolezza.
La magnifica terra che l’artista interroga è ai confini della povertà, isolata per storia e mentalità, maledetta per vocazione. Non discute di questo, Umbaca. Il suo sguardo è più profondo, ma nel video emergono solo poesia e leggerezza. Protagonista della proiezione in mostra è un grande barcone utilizzato dagli immigrati per raggiungere le nostre coste, che diventa parte essenziale del contesto. Affascinante quanto l’infinito dell’orizzonte, quanto la profondità del mare. E nel video si presta a divenire teatro di un sogno, di una danza virtuosa e acrobatica.
Allontanata l’immagine della morte, resta solo quella della speranza, della magia della provvidenza. Forse la stessa che dovrà ricondurre le anime spazzate via dal vento dei naufragi. Alla Calabria resta il problema di sopravvivere e di far sopravvivere. Il legno delle barche abbandonate è una risorsa preziosa: viene tagliato e riciclato. E con Umbaca si trasforma nella poesia di un’arpa ricostruita ed esposta all’ingresso della galleria, a raccontare di viaggi e dolore, di forza e coraggio.
L’arpa è lo strumento dell’incanto per eccellenza, della grazia ritrovata, della pace che i meno abbienti non possono avere. Una forte critica sociale si delinea sempre nel lavoro di Umbaca, dal quale si ricava un’acuta riflessione sulla base dei valori individuali, cercando di non attribuire responsabilità a una collettività senza volto.
Tutto questo è amplificato al piano inferiore, sotto le volte di Soffiantino, dove risuonano le parole di una straordinaria poesia di Pasolini, recitata da Toni Servillo e reperibile in Rete. Le pareti bianche diventano le pagine raffinate su cui Umbaca incide le strofe di Profezia. Che disegnano croci di lettere e raccontano dell’arrivo in Calabria di “Alì e di mille altri corpicini con occhi di cane…”.
Il messaggio è complesso, crudele, globale. Una profezia aberrante che oggi sconvolge ancor di più. Che parla del nostro presente e delle nostre paure.
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Franco Soffiantino Arte Contemporanea
Via Rossini, 23 (zona Palazzo Nuovo) – 10124 Torino
Orario: da martedì a sabato ore 11-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 011837743; fax +39 0118134490; fsoffi@tin.it; www.francosoffiantino.it
[exibart]
un vero complimento a franco soffiantino per la sua capacità di raffinatezza ed eleganza.
ma un consiglio, franco, cambia l’assistente della tua galleria, maleducata e poco raffinata.
ancora bravo
Artista sottovalutato, giustamente legato al periodo in cui è emerso e quindi oggi apparentemente omologo (ma non è così).
Più che una recensione un poesia!
Complimenti per la recensione estremamente poetica!