Se in ogni famiglia si custodiscono gelosamente le fotografie dei nonni, quelle prime immagini in bianco e nero con vestiti ormai buffi e fuori moda, ancora più importanza si riserva ai ritratti dei nostri progenitori. Se le fotografie spesso vengono tenute chiuse in un cassetto, i ritratti sono appesi nei salotti o in camera, a ricordo di una persona cara, dei suoi insegnamenti e soprattutto del suo volto.
Proprio a questi temi è legata la mostra del Museo Borgogna di Vercelli, un’ampia selezione di ritratti della pittura piemontese tra ‘800 e ‘900, quei decenni in cui il dipinto svolse ancora, nonostante lo sviluppo sempre più travolgente della fotografia, una funzione di rafforzamento dell’immagine sociale dei personaggi e delle loro famiglie, almeno nei ceti più ricchi.[exibart]
Cinque sono le sezioni lungo le quali si articola il percorso espositivo. Nei ‘volti del potere’ si evidenzia il bisogno dei signori di posare in atteggiamenti decisi e inflessibili davanti alle abili mani di artisti famosi, che contribuivano ad aumentare il prestigio dei committenti. Esemplari i ritratti del generale Levi (Calosso, 1909) e del rabbino Dario Disegni (Treves, 1936), nonché il busto in bronzo di Bistolfi del 1901 raffigurante il re Umberto I. Colpisce invece la rappresentazione (Alciati, 1928) di un Mussolini, sì con sguardo penetrante e severo, ma seduto ed in abiti civili.
Nella sezione ‘signore e signori’, possiamo ammirare gran dame in abiti eccentrici o dall’atteggiamento pomposo e arrogante (esemplare L’abito di seta, Carpaneto, 1895), ma anche lineamenti di straordinaria dolcezza espressiva di donne che sembrano soffrire di una malinconia esistenziale dovuta alla loro condizione privilegiata (Ritratto della signora Laura Dorna, Bosia, 1931). Come non citare lo spleen della ‘Donna tra i pini’ di Casorati e la spontaneità della ‘Figura femminile’ di Paulucci?
Anche numerose le figure maschili, ad iniziare dal padrone di casa, il mecenate, collezionista ed avvocato Antonio Borgogna, per continuare con quelle figure borghesi equilibrate e più gioiose delle loro dame, da ‘L’ingegnere Malinverni’ a ‘Il padrone del castello’. Molto veritiera ed interessante la scena di gruppo di Pollonera (1886) che rappresenta uno spaccato della società torinese del tempo all’interno del Teatro Carignano, con personaggi di spicco, da Cosola a Camerana a Bistolfi.
Forse la più appassionante, la parte dedicata al popolo ci presenta, con un’ampia selezione di opere, aspetti molto importanti della società piemontese nel periodo che va dagli ultimi decenni dell’Ottocento alla metà del Novecento. Scene veriste (e del resto anche in letteratura era il periodo) che ci portano indietro nel tempo, ai racconti dei nonni, ad un tempo che non si può più ricreare. Figure di contadini, pastori, operai, vecchi e bambini, personaggi anonimi che gli artisti ritraggono per cogliere la dimensione quotidiana dell’esistenza, l’identità profonda delle persone. Emblematiche visioni d’insieme come Spighe d’oro di Cavalleri, Gruppo di famiglia di Felice Carena, Vendemmia di Guarlotti sono immagini solari di un mondo forse idealizzato, ma genuino e ruspante. Del tutto diverso lo stile di arte ‘industriale’ de ‘La forgiatura’, di Onetti, 1920.
Impareggiabili poi l’espressività di due personaggi in atteggiamenti del tutto veristici e naturali, Il cuoco della Tampa (Ajmone, 1934) e Il bevitore (Grolla, 1912).
Le ultime due sezioni sono dedicate agli artisti, dapprima con i loro autoritratti, ora più introspettivi, ora maudit, ora di tendenza, ed infine con la rappresentazione delle loro muse ispiratrici. Dieci modelle spesso senza nome per dare volti e forme ai canoni di bellezza del tempo.
Claudio Arissone
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