La testa lievemente china, colta di profilo, tracciata con sicurezza di segno e immortalata dal vero. È solo un disegno, visto che il dipinto originale di Michelangelo è andato purtroppo perduto, bruciato nella Francia del Seicento perché ritenuto immorale per la sua grande sensualità. Del resto il mito di Leda, splendida fanciulla amata da Zeus che per sedurla non esitò a prendere le sembianze di un cigno, è in effetti un soggetto di acceso erotismo, interpretato nel corso dei secoli da una schiera innumerevole di artisti, da Correggio a Rubens, da Leonardo a Dalí.
Questa Leda su carta, conservata a Casa Buonarroti, è la grande protagonista della mostra in corso a Torino. Questo studio a matita rossa, realizzato tra il 1529 e il 1530 in preparazione di un grande “quadrone da sala” dello stesso soggetto richiesto dal Duca di Ferrara Alfonso I d’Este, presenta anche una variante di naso, sempre di profilo, e davvero –anche se sembra pleonastico sottolinearlo– risulta difficile pensare che la tela potesse contenere qualcosa di lubrico o di indecente. Semplicemente, come molti capolavori, non fu capita. Basti pensare che il messo inviato dal duca a ritirarlo osò addirittura esclamare, davanti all’autore: “Oh, questa è una poca cosa”. Michelangelo, offeso, donò –stando ai cronisti del tempo, il Condivi e poi il Vasari- il quadro a un suo garzone, tal Antonio Mini.
I particolari della storia sono stati ricostruiti da Janet Cox Rearick che, documenti alla mano, ha dimostrato che il quadro a metà del Cinquecento si trovava in Francia, a Fointanbleau. In un inventario del 1691 la voce relativa ad una copia del dipinto reca l’appunto “La regina madre [Anna d’Austria] bruciò il dipinto. Da bruciare” motivo?
Secondo un’altra fonte datata 1699, “questa Leda era rappresentata in uno stato così vivido e lascivo di amore appassionato che M. des Noyers, ministro di stato sotto Luigi XIII, la fece bruciare”.
La mostra torinese è un piccolo gioiello, a cominciare dalla felice invenzione dei curatori di ingrandire fino alle reali dimensioni del capolavoro perduto l’incisione francese di metà Cinquecento che ne rappresenta la copia fedele, con i due amanti ripresi nell’attimo fuggente del loro incontro. Accanto, il prezioso disegno permette un rapido e istruttivo raffronto con la sua “derivazione”, facendoci amaramente rimpiangere il delitto compiuto durante lo sciagurato rigurgito di bacchettonismo francofono. Completano l’esposizione alcuni disegni di Michelangelo legati alla sua carica di governatore e procuratore generale delle fortificazioni, ricevuta a Firenze nel 1529 e perfezionata a Ferrara studiando proprio i celebri sistemi protettivi del Duca.
Visto il loro eccezionale valore estetico si contemplano sempre volentieri, ma ai fini della comprensione della “Leda” forse se ne poteva tranquillamente fare a meno.
elena percivaldi
mostra visitata il 19 luglio 2007
[exibart]
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