Sono un centinaio i lavori di Ettore Fico (Piatto Biellese 1917. Vive e lavora fra Castiglione t.se e Torino) che la Sala Bolaffi, luogo ove la Regione Piemonte organizza le personali dei suoi “figli”, espone finalmente al pubblico. Si spazia dagli anni ‘50 a oggi, dall’olio alla tempera, dall’acquerello al disegno e all’incisione.
L’allievo di Serralunga ha dunque a disposizione spazi di una certa rilevanza per dimostrare quanto si debba dolere il Piemonte per quest’ennesima dimenticanza. D’altronde Fico è sicuramente abituato alle difficoltà poiché, come Alberto Burri, ha iniziato a dipingere in prigionia. Il campo era gestito dagli inglesi e qui conoscerà il lavoro di Sutherland e Moore, mentre nella tenda studio di Algeri ritrae ad acquerello gli ufficiali.
Il deserto e la casbah lasciano però presto il posto alle influenze d’oltralpe, con particolare riferimento al (post-)impressionismo e a un divisionismo a largo spettro, che contempla anche diverse incursioni in terra italiana. E quale migliore soggetto avrebbe dovuto trovare il Nostro, se non la lavanda provenzale e soprattutto il glicine del suo amato parco? Così si chiude la mostra, con una serie Giardino (2003) che contempla tempere di colori esplosi in un tachisme gioioso (e fors’anche noioso) che hanno un precedente almeno nell’olio Vite vergine (1995).
Ma, come si diceva, i territori della nostra penisola non sono totalmente disertati: così, specie in Sole (1970, olio e pastello omonimi), i riferimenti a Giuseppe Pellizza da Volpedo sono evidenti, come un ben più latente studio dei macchiaioli in Barche (1972). Se poi dovessimo citare un francese, un certo Seurat probabilmente non smentirebbe Rondini o Lavanda (entrambi del 1981), ove il colore a pastello rende con tratto diligente e fugace il gioco della luce e dell’ombra.
Certo, per impattare qualche briciolo di realtà sociale bisogna risalire al 1957, quando lo splendido disegno a china Rottami guardava allo sviluppo industriale coevo, rendendo senza pessimismo la caoticità e il disagio che arrecava un’industria senza alcun limite. Curiosa infine la tecnica adottata in due lavori, Quadro nel paesaggio e Quadro nelle colline (entrambi del 2000), dove inaspettatamente Fico fa il verso a René Magritte e a Giulio Paolini applicando tela su tela e dando vita una mise en abyme ingannevole e affascinante.
L’excursus è dunque di tutto rispetto, anche se gli amanti del contemporaneo rimarranno piuttosto delusi. Forse pensando che in quelle sale, pochi mesi or sono, era ospitata una personale di Silombria…
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