A cosa pensiamo quando parliamo di città? A condomini di periferia, vetrine illuminate, fabbriche, cartelloni pubblicitari, semafori e grattacieli, traffico e parchi giochi. L’ambiente cittadino è ormai talmente diversificato che ciascuno di questi aspetti può evocare una città; al tempo stesso nessuno di questi riesce a descriverla completamente. Ogni immagine della città è necessariamente parziale, frammentaria e soggettiva.
Palazzo Cavour propone un’ampia e coinvolgente selezione di opere di artisti contemporanei che con dipinti, disegni, video, installazioni, sculture e fotografie illustra le infinite facce del paesaggio metropolitano. Ne emerge un collage composito un suggestivo mix di emozioni, pensieri e riflessioni sulle metropoli contemporanee.
Pochissime le opere che evocano sensazioni positive, come benessere e gioia di vivere. L’atmosfera è cupa, a volte tragica, nel migliore dei casi perplessa. È il caso delle arcinote bambine del cinese Weng Fen, che assistono immobili all’invasione di grattacieli, gru e costruzioni stranianti. Sono città i grattacieli di Brasilia che si impadroniscono della terra che apparteneva a palme e fiumi (nella sequenza di immagini di Michael Wesely e Lina Kim) e quelli della Tokyo fotografata da Thomas Struth, affollata di persone indifferenti l’una all’
Le metropoli ci sono tutte: da New York a Berlino, ma il ritratto di città che emerge dalle sale di Palazzo Cavour non si identifica con nessuna di queste. In epoca di non luoghi, anche la metropoli diventa “una “Zona” priva di reali coordinate geografiche”. Grandi assenti –o quasi– le città italiane, forse perché la loro immagine nell’arte è ancora troppo legata alle rappresentazioni rinascimentali. O forse perché finora incapaci di meritare –se poi è un merito– l’appellativo di metropoli.
Tristemente profetica Crying City di Gilbert & George, opera del 1998 nella quale la città è al centro di un mirino, bersaglio di possibili attacchi. Forse originariamente il significato dell’opera era diverso, il cemento aggredisce la città distruggendo alberi e piante. Oggi quel mirino così nettamente tracciato al centro del quadro evoca tutt’altro mondo di paure: quello della guerra e del terrorismo. Le stesse paure richiamate alla mente dalle fotografie di Hiroshima di Arnulf Rainer in apertura di mostra.
Power tools for urban explorers, di Marjetica Potrc, va oltre la singola metropoli ed esprime in un linguaggio semplice ed efficace le enormi differenze –e profonde ingiustizie- del mondo globalizzato. Un semplice disegno, pochi segni tracciati con uno stile infantile, e alcuni oggetti, sono sufficienti per spiegare l’unica cosa che accomuna due città come Tokyo e Johannesburg: la massa dei turisti che si muovono compatti dall’una all’altra. Le due città sono descritte non da edifici, ma da gruppi di individui. A Johannesburg troviamo invaders, squatters, guards, residents; a Tokyo commuters, shoppers, amusement park fans.
I vortici di girandole colorate di Unsafe ground IV (to relax?) di Franz Ackermann sembrano indicare che nella metropoli c’è tutto, un concentrato di energia opportunità divertimenti e ansie, ma proprio questo tutto diventa troppo, rendendo impossibile la vita.
L’esposizione si collega idealmente alla mostra Metropolis, aperta in contemporanea alla GAM (sempre a Torino), che mostra il tema della città visto dalle avanguardie del primo Novecento.
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La qualità di almeno alcuni dei lavori in mostra non basta a salvare l'insieme da un desolante disordine curatoriale. Non è che con la storia della metropoli contenitore si può giustificare la confusione che regna nelle sale, comicamente esemplificata dal video proiettato al termine del percorso e composto rimontando le immagini delle opere esposte. Sembrava una produzione della rai rieducational di Guzzanti: "lo sapevate? La metropoli è tentacolare e indefinibile!" Grazie per i lumi.
Curioso, infine, il ricorrere di poche e sempre uguali gallerie tra le prestatrici delle opere.