È indubbiamente una mostra curiosa quella allestita nelle sale storiche di Palazzo Bricherasio, a cura di Luca Beatrice, dal titolo
Juventus. 110 anni a opera d’arte. Il “compleanno” è festeggiato attraverso un parallelo tra arte e pallone, con la proposta di opere d’arte dall’inizio del secolo a oggi, e una divagazione quattrocentesca.
La squadra più amata -e odiata- d’Italia, emblema della popolare “cultura del pallone”, è un fenomeno di notevoli dimensioni che trascende l’ambito del calcio. Il curatore sostiene infatti che
“i due mondi (quello dell’arte e quello del calcio) sono distanti solo in apparenza. Le suggestioni che si provano ammirando un dribbling in campo o un capolavoro in un museo sono le stesse”. Da questa considerazione è nata l’idea di realizzare una mostra che procede attraverso obliquità e intersezioni, talora per contrapposizioni, non sempre immediate. Lo spettatore è accolto dalle opere luminose di
Marco Lodola, disposte in modo strategico sulla facciata del Palazzo, con un forte impatto percettivo. L’artista ha immaginato i calciatori come su un campo da gioco,
“bianconeri luminosi e illuminati con i colori delle seconde maglie usate nella nostra storia”.
Il percorso nelle sale si snoda fra trofei, filmati che documentano fasi salienti di campionati e coppe, e opere d’arte, disposte tematicamente.
Classe, estro e fantasia presenta lavori di artisti che hanno infranto gli schemi convenzionali e codificati dell’arte, in analogia a quanto è avvenuto per giocatori dal profilo eccezionale, quali Platini e Zidane. Si susseguono dunque il taglio di
Lucio Fontana, primo tra gli “oriundi” ad aver ottenuto successo in Italia, la lapide di marmo di
Antonio Trotta, un monumento alla Tangheida, visto come un omaggio a Camoranesi, e un monocromo blu di
Yves Klein, fortemente simbolico.
L’analogia tra Del Piero e
Pinturicchio è sottolineata dalla presenza in mostra di un dipinto di quest’ultimo,
Il Bambin Gesù delle mani (1492-93).
La sala dei
Gladiatori esalta l’agonismo, la tempra pugnace, il gusto inesausto della lotta, sottolineando il valore della fede nello sport, a ogni costo, e parallelamente nell’arte la capacità di lottare controcorrente. Ne sono esempio
de Chirico,
Sironi e, più vicini nel tempo, la performance e la body art.
L’estetica del bianco e nero, colore che da sempre è il contrassegno della squadra, connota le origini del cinema e della fotografia. In questa sezione si evidenziano l’acuto ritratto dell’“Avvocato”, allora cinquantenne, realizzato da
Andy Warhol (1972), il dipinto di
Mimmo Paladino,
Pieno di neve, pieno di stelle (1978), che riprende l’icona della zebra, e l’opera optical a sottili strisce bianche e nere di
Michael Scott.
Torino siamo noi sottolinea come la Juventus incarni lo “spirito” della città. I lavori presentati sotto questo segno, quali l’autoritratto giovanile di
Enrico Paulucci, allora portiere della Juventus,
Food Ball (1975), il “pallone da mangiare” di
Aldo Mondino, e
Senza titolo (1994), paesaggio notturno e inquieto di
Daniele Galliano, costituiscono una sorta di percorso all’interno del percorso della mostra.
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ma perchè galliano non la smette? ha avuto il suo momento di gloria nei tempi d'oro, adesso sarebbe meglio si desse ad altro!
per favore, basta con questi quadretti da furbetto.
non si coglie il senso
palazzo bricherasio sta toccando il fondo
insieme a molte gallerie torinesi
mi dispiace
i