Per Barclay (Oslo 1955, vive e lavora a Parigi) ha vissuto a Torino dal 1989 al 1995. Il contatto con l’Arte Povera ha definito le sue cifre distintive: sculture e installazioni che utilizzano acqua e olio; fotografie che ricordano l’interesse per le arti performative.
In realtà la cifra è unica, perché le “archisculture” modulano spazio e tempo, sospendendoli in modo aurorale: Barclay propone un approccio “freddo” e al contempo coinvolgente. Non violenta, circuisce. D’altronde, acqua e olio hanno valenze ambigue come le “parole primordiali” freudiane: il pharmakon al contempo cura e avvelena.
In simultanea con la mostra torinese, una sua grande esposizione è allestita al Palacio de Cristal di Madrid: Barclay vi ha creato un circuito di riflessi visivi e sonori che inglobano fantasmaticamente lo spettatore all’interno delle installazioni.
L’ottava personale da Persano inizia con la gigantografia su forex di Halvard (2002-2003): nudo maschile in posizione fetale, col pollice in bocca, steso sul pavimento. Un uomo tatuato e villoso, ma che pare psicologicamente minato dalla socialdemocrazia nordica. La sala successiva colpisce immediatamente per la prospettiva sui due spazi successivi, sensazione amplificata dai cavi tesi che solcano a mezz’aria questa parte della galleria. Alla parete, Susanne (2003): una ballerina fotografata a colori mentre siede coi capelli che le ricoprono il viso. Pare una triste citazione da Degas, mentre il sistema del cavalletto in acciaio e plexiglas crea riflessi simili alle installazioni madrilene. I cavi che si notavano fanno parte di Senza titolo (2003) e sono collegati a due grandi altoparlanti neri montati su un palo in acciaio. È sufficiente sfiorarli per produrre una vibrazione acuta e disturbante, che invita a seguirne il percorso: si attraversa una prima sala vuota, mentre il parquet scricchiola (la galleria ospita un’installazione permanente di Max Neuhaus – Three “Similar” Rooms (1990) – che sfrutta proprio quel rumore) e
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