Angela Dufresne (Hartford, 1969; vive a New York) torna per la seconda volta a esporre da Glance, con una ventina di opere di piccolo e grande formato, realizzate appositamente per l’occasione, testimoniando l’originaria volontà della galleria di presentare al pubblico italiano un folto ventaglio di artisti americani già ampiamente apprezzati in svariate realtà mondiali.
Architettura, storia dell’arte, cinema e letteratura si fondono nei lavori di Dufresne in un complesso
compost cromatico dalle mille sfaccettature, dove piccoli dettagli quasi celati emergono soltanto dopo un’attenta disamina scenografica. Il suo
modus operandi si avvicina molto a quello di un montatore cinematografico, preciso ma divertito, scrupoloso e ironico, che riesce a imprimere su una
pellicola intelata il magico incontro tra realtĂ e fantasia, ricordo e sogno, testimonianza e vagheggiamento.
Solitario e pacifico, un uomo su una barca (l’artista
Eric McNatt) sembra assorto nella propria quiete; ma ecco che, nell’angolo in alto a destra, un fuoco d’artificio scoppia in un fiore di colori sgargianti, prorompente seppur discreto. Poco più in là , confidenziale e vociante, scalda l’ambiente una rivisitazione dell’ultima cena, crepitante di rosso (
Bueneuls last supper, 2008).
Il rimando all’iconografia cinematografica è reso esplicito fin dal titolo scelto per la personale,
Floating weeds, una nota opera del regista giapponese
Yasujiro Ozu. Non mancano neppure rappresentazioni di sequenze tratte da
Viridiana di
Buñuel e ritratti di attrici quali Isabelle Hupper. Paradossalmente, la concretezza dell’apparenza che nutre un film si mesce a una personale rilettura di fatti e accadimenti, oltre a interpretazioni di scenari naturali vagamente cupi o dubbiosamente immaginari, non identificabili. Uno scorcio di un fiume, di una foce che si fonde con il mare?
Da qualche parte in Irlanda. E questo è sufficiente. Non è importante il luogo in sé, ma la seduzione visiva ed emotiva che produce.
In svariati dipinti si scoprono maliziosi lasciti personali, assimilabili forse alle brevi apparizioni di
Woody Allen o
Alfred Hitchcock in alcuni loro capolavori, costituiti dalla raffigurazione della stessa pittrice, dal corpo minuscolo e collocato a margine, che ritrae il paesaggio in modo attento e risoluto (
Senza titolo, 2008). A ben guardare, in realtà , seguendo diagonali e percorsi del segno carico e similmente espressionista, spesso si materializzano a sorpresa minute figure di donna, emergenti da fondali intensi o immerse in un laghetto a fare un bagno corroborante, avvolte da un’atmosfera intimistica e quasi giocosa.
Dufresne amalgama verosimiglianza e memoria, diventando parte attiva della storia raccontata. Proprio in questo modo può intervenire modificando i finali, alterando e facendo proprie le location, aprendo brecce dalle quali guardare, per allargare gli orizzonti e permettere allo spettatore di divagare, di spingersi oltre.