Nelle sue ultime ricerche,
Beatrice Pediconi (Roma, 1972) si svincola completamente dalla pura rappresentazione. Un’evoluzione attuata già nella precedente serie
Corpi sottili, in cui la fotografa romana, attraverso l’ausilio di acqua e china, si è cimentata in una ricerca di forme affascinanti e suggestive, capaci di estasiare attraverso la peculiarità di un movimento fluido ed evanescente.
In questa serie
Senza titolo, l’investigazione continua sul medesimo filone, caratterizzandosi ulteriormente. Si tratta di un ciclo di opere in grado di spiazzare completamente l’osservatore, che viene gettato in una dimensione onirica e avvolgente, dominata dal silenzio interiore. I luoghi generati sembrano restituire allo sguardo l’immensità del cosmo e l’orizzonte determinato dall’ignoto. Un universo che non può non rievocare nell’immaginario collettivo le figure delle nebulose o delle costellazioni, in una irradiazione di luci e bagliori.
Al contempo, questi
Senza titolo suggeriscono corrispondenze con elementi noti. Nella fluidità dell’inchiostro, nella sua luminescenza pare riconoscere i tratti incisivi di grandi artisti del passato. In una macchia sinuosa è possibile percepire un’assonanza con
La grande onda di
Hokusai. Ma è solo una mera apparenza, poiché si viene tratti in inganno da suggestioni conosciute.
C’è infatti molto di più nell’operato di Pediconi, nella sua arte, che rappresenta l’oltre della fotografia. L’artista si esprime in un universo borderline fra pittura, performance e immagine. L’utilizzo di acqua, china e tempere si fonde armoniosamente con la ricerca di luci e ombre catturate dall’obiettivo. L’istante fuggevole è trattenuto e reso etereo, più che immortale. Il tempo rimane prigioniero assoluto dell’opera. L’essenza è data dall’attimo carpito, che genera un fluire indistinto di emozioni.
Il fruitore entra così in contatto intimo col proprio inconscio, percependo la finitezza umana e il suo essere infinitesimale. Il lavoro di Pediconi non implica però una significazione, ma lascia spazio allo scorrere di molteplici interpretazioni, che si generano come un vortice, un gorgo nato dal movimento armonioso delle forme, in grado di andare al di là dell’oggettivo.
Le macchie d’inchiostro si districano e si librano da una campitura scura, dove le striature del bianco divengono un moto perpetuo e dove i contrasti acquisiscono tridimensionalità tattile.
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brava beatrice complimenti le tue foto , mi sono molto piaciute, le trovo molto interessanti, spero di vedere presto una tua mostra a Roma per ammirarle da vicino .