Entrando in uno degli spazi espositivi più belli e autorevoli dell’arte contemporanea torinese, tutto ci si aspetta tranne che trovare la Pimpa. La simpatica cagnolina a pois rossi, con le grandi orecchie e la lingua a penzoloni, è stata ed è ancora la compagna di giochi di molti bambini, che in lei s’identificano per quel modo innocente e spensierato di guardarsi intorno e di trattare ogni cosa come se fosse un essere animato.
Probabilmente
Francesco Tullio Altan, nel 1975, quando creò questo personaggio per la figlia, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stato al centro delle stampe realizzate da
Emilio Prini (Stresa, Verbania, 1943) in occasione di una mostra. Ma c’era da aspettarselo dall’artista piemontese. Che ha svuotato di qualsiasi senso le vignette: le ha riprodotte nello stesso formato, in bianco e nero e con i soliti due personaggi, la Pimpa, appunto, e il suo padrone, al quale in ogni stampa rivolge una domanda diversa.
Non c’è una narrazione che fa da trait d’union fra le stanze della mostra, ma l’impiego della medesima iconografia che si assomma e si sedimenta una sull’altra in chi osserva. La ripetizione incessante ribadisce e fortifica un’immagine semplice e familiare, pur privandola del suo appeal.
Una simile abrasione ha tutto il fascino delle migliori operazioni concettuali inferte, loro malgrado, ai simboli del nostro tempo. Eliminato qualsiasi significato emozionale, questi lavori si propongono con lucida e fredda razionalità, portando personaggi familiari all’interno della dimensione artistica.
Al contrario delle più felici operazioni pop, dove una semplice immagine comune era resa “feticcio e icona” tramite abili esaltazioni sceniche, la cagnetta è ingrigita, spenta e intorpidita dalle sue battute sconnesse e decontestualizzate. In fondo, non è più così divertente. Le domande sfacciate e ingenue non hanno più il sapore della tenerezza infantile, ma sono parole, segni privi della loro unicità.
Molti artisti hanno lavorato sull’idea dell’immagine stereotipata, ma forse nessuno è riuscito a svuotarne così incisivamente il significato. Anche in questo caso il nostro pensiero, nella sua spontanea ricerca di una precisa determinazione dell’oggetto osservato, alla fine non sa su quale delle immagini soffermarsi: la colorata Pimpa di Altan o quella in negativo di Prini? Entrambe in fondo sono “la Pimpa”, ma al tempo stesso, come riporta il titolo, c’è un vuoto.