Quando scese la stretta scala a chiocciola del laboratorio di Carsten Schulz, nel Mitte, si trovò di fronte al più suggestivo cimitero di pianoforti di Berlino Est. Un luogo angusto, polveroso, ricovero per strumenti malandati ma preziosi, alcuni con una storia gloriosa alle spalle. Tra questi c’era il piano suonato da Adrien Brody ne
Il pianista di
Polanski, cimelio cinematografico affidato alle cure del restauratore berlinese.
Valerio Rocco Orlando (Milano, 1978) era lì per un motivo preciso, con il nome di un pianoforte scritto in testa e la bozza di un film già stesa sui fogli. Un Niendorf verticale degli anni ‘20, nero, ridotto piuttosto male: questa la meta del suo viaggio, il motivo ispiratore del suo ultimo, impegnativo progetto.
Del vecchio Niendorf era venuto a conoscenza grazie a una piccola storia raccontatagli da un collezionista. Diverso tempo addietro, da quella stessa scaletta striminzita era passato un celebre compositore, noto al grande pubblico per le molte colonne sonore regalate al cinema, una su tutte quella scritta per
Lezioni di Piano. Michael Nyman si trovò per caso nel laboratorio di Schulz, durante un pomeriggio trascorso a passeggio per le vie di Berlino; il suo sguardo inciampò su quel piano, e fu subito un
coup de foudre. Cominciò a suonarlo: le note distorte lo inchiodarono ai tasti sgangherati dello strumento, che aveva il suono di mille altri strumenti, l’eco di mille suoni ormai trascorsi. Una musica ancestrale, mistica: così l’avrebbe descritta poi.
Il ricordo di quell’incontro magico passò di bocca in bocca, fino a raggiungere Rocco Orlando, che decise di farci un progetto. Contattato Nyman, dopo un lungo scambio di e-mail, l’artista parte per Berlino. Nel negozietto a Mitte allestisce un set, piazza delle luci colorate e gira un videoritratto ravvicinato del piano: il filtro cromatico e il movimento esplorativo della camera aprono uno spazio onirico, dilatato, fortemente emozionale.
Due mesi dopo, Nyman sale sul palco del Novara Jazz Festival e siede davanti al vecchio Niendorf, fatto arrivare lì apposta. La cinepresa di Valerio Rocco Orlando riprende l’intesa improvvisazione. Primo piano strettissimo sul maestro, camera fissa: l’emozione è la stessa di quell’incontro casuale a Berlino, ma stavolta è condivisa col pubblico, come una confessione, come un pensiero intimo dischiuso.
Dopo un’anteprima al Teatro Regio di Parma, l’installazione video su due canali è esposta da Maze. I due ritratti emergono dal buio della stanza, tra suoni inauditi, irregolari: l’uno, a colori e in dvd, riscrive al presente la storia del vecchio piano, come a resuscitarlo; l’altro, in 35 mm e in bianco e nero, precipita il pianista in un tempo neutro, coprendolo di una patina consunta. Nyman, nell’inversione temporale affidata ai due schermi, incarna in qualche modo le decine di interpreti che a quel piano si sono seduti, negli anni, ogni volta dandogli voce, ogni volta cavandone nuova musica.
Il progetto incrocia così il tema del tempo – tempo affettivo, musicale, tempo del ricordo e dell’interpretazione – con quello del primo piano cinematografico, qui inteso come paesaggio affettivo che scioglie l’immagine del volto in un flusso d’intensità pura.