Muoversi insieme non necessariamente significa percorrere fisicamente
le stesse vie. A determinate distanze molte strade possono metaforicamente
incrociarsi, assomigliarsi e persino ripetersi. Questo accade anche nei
percorsi di tre giovani artisti presentati nella prima tappa di
A pari passo, dedicata a
Le città, nel quadro del progetto curato
da Antonio Arévalo. Non è solo una collettiva, ma un collage di esperienze che
rivela aspetti insoliti delle metropoli, spesso attraversate con poca attenzione.
Nel ripensamento delle città è senza dubbio maestro Italo Calvino che,
con
Le città invisibili (1972), ha offerto spunti sul rapporto fra lo straniero e la terra
sconosciuta in cui si trova; riflessioni sugli uomini che quelle città le hanno
costruite, forgiate e dunque desiderate.
Come nel romanzo di Calvino, le visioni della città di
Primož Bizjak
(Šempeter
pri Gorici, 1976; vive a Venezia e Madrid) sono squarci che gli altri solitamente non colgono, sono
immagini che la sola mente dell’artista può creare. Sono invisibili. A metà fra
quel che è stato e quel che sarà, gli spazi della Madrid di Biziak si collocano
infatti tra il crepuscolo e l’aurora. Sono luoghi ibridi in stato di abbandono
e in attesa di ridefinizione.
Nei lightbox, gli angoli urbani indagati sono fotografati con un banco
ottico in diversi momenti e poi nuovamente accostati per rivelarne la
sospensione temporale. Da una prospettiva interna, cioè dal cortile, l’artista
trasforma così questi spazi nei teatri della stessa umanità che li ha vissuti.
Assecondando un’idea di priapismo costruttivo, invece, si articola la
ricerca di
Marlon De Azambuja (Santo Antônio da Patrulha,
1978; vive a Madrid). Nel video
Movimento Concreto le immagini delle architetture di
San Paolo scorrono rapide e, tutti insieme, i palazzi svettano verticali verso
il cielo, ripercorrendo l’idea di forza e di potere politico espresso
attraverso l’architettura pubblica.
In mostra anche una versione dei lavori di
Metaesquema, progetto che riflette una
personale interpretazione della città e dei suoi elementi e oggetti più comuni.
Tombini, pali e dissuasori stradali sono i soggetti delle fotografie sulle
quali l’artista interviene, disegnando forme geometriche. Una rilettura forse
della poetica
object-non object del sudafricano
Robin Rhode che, coi suoi lavori, trasforma
l’azione in scultura animata, sfruttando al meglio ogni angolo della città.
Infine,
Patrick Hamilton (Lovanio, 1974; vive a Santiago del Cile), terzo
straniero che, come il Marco Polo calviniano, racconta di un’altra metropoli.
Santiago del Cile è presentata come riflesso del modello neoliberale della
dittatura di Pinochet. I fotomontaggi e collage di Hamilton restituiscono
ritagli di grattacieli non più specchianti, ma rivestiti da cover in finto
legno e granito.
Intervento che così trasforma Santiago in
Sanhattan. Per riflettere ironicamente
sull’estetizzazione generalizzata della nostra epoca, dovuta alla pubblicità e
ai media.